lunedì 13 febbraio 2017

Bacchette e bacchettoni

Quando la ragione non riesce più a trovare mezzi o strategie per superare un problema, alcuni ricorrono alla richiesta di miracoli presso i santi che hanno dimostrato di averne fatti di più in passato, o alla magia.
Comunque ricorrono alla richiesta di un intervento esterno e capace di sovvertire le leggi della natura o della logica o della causalità.
E' strano che nessuno pensi di diventare santo o mago per ottenere quello che, naturalmente o razionalmente, sarebbe impossibile ottenere. Forse la cosa che si ritiene più impossibile tra tutte è proprio diventare santi o maghi... perché è faticoso.
Quello che non si sa, e che quindi induce all'errore, è che sia i miracoli che le "magie" sono interventi naturali e nient'affatto soprannaturali, perché sono azioni effettuate sulle cose della natura e sul loro normale andamento; e che la possibilità che eventi altrimenti irrealizzabili si verifichino è - casomai - dovuta all'interazione forte (espressione - si noti bene - tratta dalla fisica quantistica) tra l'oggetto dell'operazione e chi la richiede.
Quindi, anche il santo che volesse favorirvi, dovrebbe passare attraverso di voi per cambiare le carte in tavola e a dar luogo all'inaspettato; e se voi non foste nella condizione adatta, non potrebbe farlo. Orbene, chi chiede a un terzo, senza operare su se stesso, non è nella condizione adatta.
Per questo molti miracoli che, se solo  le persone fossero - come si dice - "allineate", accadrebbero naturalmente senza alcun intervento, non accadono.
Non ci sono scuole di miracoli, forse perché chi li fa non intende disperdere il proprio potere insegnandolo, oppure, meno maliziosamente, perché se si desse a qualcuno il potere di farne, quegli lo userebbe per far scoppiare bombe - miracolosamente - senza detonatore...
Però esistono scuole che insegnano ad essere "allineati". Non cercano allievi, ma ci sono, a volte e per fortuna raramente, allievi che le cercano.


Campionario di bacchette magiche


giovedì 2 febbraio 2017

Carta da musica

Un imprenditore, illuminato, brillante e animato dall'utopia di "fare del marketing una scienza umanistica", mi spiegava come "il modo attuale di fare impresa non funziona più, le esigenze del mercato sono totalmente cambiate, ma gli strumenti a disposizione sono ancora quelli del vecchio modo di intraprendere; così le nuove imprese rischiano di non decollare, strozzate da regole inutili etc."
Mi illustrava come sia necessario costruire un nuovo modo, e lo faceva utilizzando una metafora: "Come la musica è da sempre scritta sul pentagramma, così la progettazione di una nuova impresa è scritta su una sorta di canovaccio: ebbene oggi occorre inventare una nuova carta da musica, un diverso pentagramma".
Questa sua calorosa affermazione, che sembrava infiammarlo di entusiasmo, ha suscitato in me delle riflessioni sul senso di "progetto", cosa di cui (casualmente?) scrivevo qui nei due o tre articoli precedenti.
E' avere il giusto pentagramma che consente di scrivere grande musica? O esiste già una musica che qualcuno, udendola e rimanendone affascinato, desidera poter riprodurre? Se è vera questa seconda ipotesi, questo qualcuno potrà desiderare inventare un modo per trascriverla al fine di tramandarla e di poterla eseguire ogni volta lo si desideri.
Allora inventerà un pentagramma e attribuirà a segni grafici quali le palline un valore convenzionale che significherà un suono o l'altro a seconda di dove, sul pentagramma, vengano collocate.
Così, è necessario che la "musica" esista già, perché l'invenzione di un "pentagramma" abbia senso.
E credere che basti inventare un nuovo schema per produrre musica diversa è forse illusorio.
Fuor di metafora: per codificare delle nuove regole dello stare insieme tra uomini, occorre che sia stato prima realizzato l'uomo nuovo; e questo non sarà certo fatto dall'ever scritto, uomini vecchi, regole spacciate per nuove, ma che non possono che essere vecchie, per uomini che non esistono ancora e che i vecchi non hanno la minima idea di come siano.
Ma fare impresa non è fare l'Uomo Nuovo, ma fare soldi.
All'amico imprenditore questa osservazione non è piaciuta, ma mi vuole bene e mi ha perdonato.

"Carta da musica", nient'altro che pane


martedì 31 gennaio 2017

Fare da grande

Ai bambini si chiede, fatalmente: "Che cosa vuoi fare da grande?". E si ricevono risposte, di solito, assai improbabili.
Crescendo, quel bambino sceglierà dei modelli e il suo intento, il suo voler fare, diventerà il suo voler essere.
Più avanti, quando farà ciò che sarà costretto a fare e sarà quel che sarà costretto a non essere, non gli resterà altro che stabilire ciò che vorrà sembrare.
Quindi comincerà a fare cose che gli consentiranno di fingere con se stesso di essere quel che si sforzerà di sembrare agli altri.
L'inganno è compiuto, e la condanna alla menzogna perenne è così comminata: questa pena, per un reato mai compiuto, si chiama "personalità", o "falso Io", o "ideale dell'Io": è un tiranno che non consente altro che di sembrare ed ingannarsi, perché ogni tentativo di essere quel che si è sarebbe un tradimento verso le aspettative degli altri, ai quali si apparirebbe diversi, tradendo le loro aspettative. La punizione? "Mi hai deluso, allora non ti amo più!".

In questa prigione resta impossibile dare risposta a una domanda che ci si smette allora di fare: chi sono? Perché la risposta a questa domanda potrebbe essere data solo a posteriori, quando si fosse diventati ciò che si doveva essere, e lo si constatasse.
Essere, infatti, non è cosa che può piegarsi al volere, ma è la progressiva manifestazione di quel che si è fin dall'origine, e che la vita dovrebbe consentire di attuare.
Ma non si è mai diventati altro che quello che si voleva sembrare. Si muore non avendo mai potuto scoprire chi si fosse realmente.
E questa non è una condizione definibile "umana". Umana è solo la ricerca totale della propria Essenza.

Un'Essenza speciale


sabato 28 gennaio 2017

Tapis roulant

Un grande Maestro disse una volta che sulla Via (spirituale) esistono i cercatori e i trovatori.
A suo tempo, scherzai dicendo che, poiché una delle due condizioni esclude l'altra, ciò significa che nessun cercatore abbia mai trovato.
E questo è terribilmente vero.
Chi cerca infatti ha inevitabilmente delle aspettative e dei preconcetti, tali per cui dichiarerà di aver trovato solo quando avrà incontrato quello che si aspettava di trovare.
Viceversa, la Via spirituale è la Via dell'inaspettato, dell'inusuale, di ciò che mai ci si sarebbe potuti immaginare, e stravolge ogni tranquilla aspettativa. Sconvolge, modifica, trasforma, crea (plasma) chiunque vi si trovi, inaspettatamente, sopra.
La Via spirituale, più che un faticoso percorso simile al Cammino di Santiago, è un tapis roulant, che trascina chiunque vi metta il piedi sopra, là dove essa conduce: che non è mai il luogo pacifico dei mari del sud in cui il cercatore avrebbe voluto prendersi una vacanza da se stesso.
Dunque non vi è alcuno che, potendo dichiarare di aver trovato la Via o il maestro, lo abbia trovato davvero. Ma vi sono alcuni che, non avendo cercato mai, ma avendo solo coltivato un'aspettativa vaga e confusa di incontrare l'inaspettato, sono stati trovati. Non ne gioiscono particolarmente, né lo dichiarano con orgoglio vanitoso; ne prendono atto e si mettono al servizio.
Il trovatore, al dunque, è colui che viene trovato. E chiunque dice di aver trovato, si è perso.

Un tappeto... volante?


venerdì 27 gennaio 2017

Ancora disegni

L'attività creativa non è un'attività immaginativa: è piuttosto un'attività "sacra".
La creazione è una individuazione. Chi fondò Roma lo fece tracciando un solco che ne delimitasse i confini; e gli animali delimitano il loro territorio marcandolo con il loro odore.
Questo delimitare è un trarre da un indistinto, significato questo che è, etimologicamente, quello del sacer facere, rendere sacro o sacrificare.
O è un agglomerare in una forma ciò che è caotico e indifferenziato: il fango indistinto viene modellato in uomo.
Un disegno è un progetto (in inglese design è la parola per progetto), la delimitazione di una forma, un trarre dall'indistinto, dunque un distinguere, dunque un rendere sacro.
L'artista in preda ai furori della sua creatività è ispirato, come si suol dire: un folle in estasi.
Perché?  perché la sua follia è quella di creare la vita.
Il vero artista non accetta la limitazione del riprodurre la vita, egli la vuol creare; non avendo tra le mani che la propria vita, della quale soltanto fare quel che vuole, egli la deve creare.
Per farlo deve procedere mediante una individuazione, deve trarre se stesso fuori dall'indistinto, deve formarsi in un sacrificio.
Il vero, grande gesto creativo, sacro, totalmente artistico è la Vita, la cui caratteristica è di non poter essere mai fermata in un attimo che serva per osservarla senza ucciderla.
La sola vera opera d'arte, il solo vero Lavoro dunque, è l'artista vivo che si fa Uomo Vivente.
Il resto è rappresentazione.

L'Archetipo della Grande Madre: una sacra rappresentazione


mercoledì 25 gennaio 2017

Di segni

Gli eventi tutti, piccoli o grandi, di quelli che "casualmente" ogni giorno si producono, sono "segni".
Chi, essendosi messo in viaggio, incontrasse su una strada di montagna sulla cui cima desidera andare, una frana improvvisa che la ostruisce, potrebbe maledire la sua cattiva sorte, e basta.
Questo se il viaggiatore fosse un comune uomo medio.
Se egli fosse invece un "sognatore" (nel senso di "cultore della rêverie" che al termine avrebbe dato Bachelard), capace di generare verità immateriali, ma totalizzanti per la coscienza, "ri-conoscerebbe" la frana come segno.
Il significato che l'evento "frana" adombra (o illumina, piuttosto) è spesso difficile da attribuire...
vuol dire che per giungere sulla cima sarebbe stato meglio scegliere una strada diversa, magari sul versante opposto del monte? o che l'idea di raggiungere la cima è sbagliata e la sorte vuol impedire di commettere un errore? o che si vuol mettere alla prova la volontà reale di raggiungere la meta, testando la determinazione a raggiungerla superando l'ostacolo?
Il Sognatore può, in base al valore che egli attribuisce al segno, "creare" una realtà. Sceltone uno, infatti, egli agirà di conseguenza e determinerà con ciò gli eventi susseguenti della propria vicenda umana.
Questa scelta creatrice è la vera natura del potere della coscienza evoluta, e dell'abilità acquisita di sceglierne gli stati.
Chi infatti sappia che la scelta determina una realtà, può liberamente assumersi la responsabilità di crearla a suo piacimento; chi sceglie casualmente, al contrario, determina una casualità incontrollabile e subisce la propria vita, quando avrebbe potuto crearla, essendone padrone.
Tutto questo è poco detto, e per niente insegnato; o meglio, rivelato.
Ma questo è un vero Lavoro.

Tortuosità


domenica 22 gennaio 2017

Predicare nel deserto

Il predicatore nel deserto non è un folle, ma un tale consapevole che la sua parola ha possibilità creatrici e non è un semplice suono il cui fine è essere raccolto da orecchie umane, né una esortazione che egli spera venga messa in atto da qualcuno dotato di particolare buona volontà.
Predicare nel deserto è emettere una vibrazione nell'unico luogo in cui, non essendoci interferenze, esso possa concretizzarsi in un "oggetto", ovvero in un una "manifestazione": questo luogo è il vuoto.
Il predicatore nel deserto cerca dunque uno spazio vuoto, deserto, capace di generare eco e amplificazioni.
Il passante, che per caso e non mai volontariamente, fosse costretto, essendosi smarrito, a passare per questo deserto, penserebbe che stia parlando da solo, inutilmente; e non presterebbe orecchio a quanto sta dicendo, presumendo che si tratti del delirio di un pazzo. Ma un pazzo si addolorerebbe per il fatto che nessuno lo ascolti; il predicatore da deserto professionista, invece,  vuole che nessuno lo ascolti. Talvolta è persino infastidito se qualcuno si ferma ad ascoltarlo con interesse: non è a questo fine che parla.
Accetta tuttavia che un viandante smarrito possa cogliere, casualmente, la vibrazione della sua parola, purché non la comprenda...

Un deserto affollato