domenica 26 febbraio 2017

Conoscenza, Cultura...

Nell'Antichità vi erano Centri in cui si praticava e si trasmetteva la Conoscenza.
Man mano che essa si estendeva agli allievi, il Centro cresceva di fama e diveniva un Polo di attrazione per i saggi di ogni parte del mondo che vi affluivano. Saggio era infatti colui che ricercava la Conoscenza, Maestro chi la possedeva già.
Alcuni, poi, si allontanarono dal loro Centro di origine e credettero che la Conoscenza ricevuta fosse diventata proprietà personale, così che ritennero di poterne fare ciò che volevano.
Così crearono altri centri, in cui insegnavano ciò che avevano appreso facendo di ciò una professione.
Da quel momento nacque la Cultura.
Dunque, la Conoscenza è viva, è anzi la vita stessa operante conosciuta mentre opera, mentre la Cultura è la somma delle esperienze che, chi è stato vissuto dalla Conoscenza, ha trascritto a memoria di quegli eventi, ormai passati, e morti.
La Conoscenza  non muore, perché la Vita in sé non lo fa; la Cultura è già morta da tempo.
La Conoscenza trasforma l'uomo, la Cultura è dall'uomo trasformata.
Così la Conoscenza non può essere venduta, e la Cultura non può che essere venduta. La Conoscenza trasmette Vita, la Cultura trasmette denaro.
Quelli che vengono alla Conoscenza per strapparle qualcosa da rivendere sul mercato della Cultura, devono sapere che stanno rivendendo vilmente la Vita che era stata loro donata, e che la vita venduta non si rigenera, e si esaurisce presto nella sterilità.


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giovedì 23 febbraio 2017

Padri

Un tale litigava continuamente con il padre, col quale era sempre in conflitto. Diceva di odiarlo.
In realtà si amavano, ma è nell'istinto animale dei mammiferi (umani e no) combattere per ottenere il potere sul branco, e il primo avversario è proprio il padre capobranco. Il fine è prenderne il posto, essere lui, non nella sua identità (che si nega), ma nella sua funzione.
D'altronde questo è il sentimento che, nell'uomo, si è sublimato in quello religioso: il più grande dei capobranco universali è Dio, e l'uomo vuol essere Lui, cerca l'identificazione con Lui.
A quel tale che odiava il padre, il padre morì, e così il conflitto che lo agitava cessò. Ne prese naturalmente il posto. E la pace scese nel suo cuore.
Prese a riflettere: per ottenere questa pace non avrebbe potuto uccidere il padre senza aspettare tanto? Certo, avrebbe potuto, ma confrontarsi con lui era troppo pericoloso, perché era forte; e, diventato vecchio, non era più un grande avversario, non valeva la pena, bastava attendere che morisse.
D'altronde questo è il sentimento che, nell'uomo, produce l'agnosticismo (il rimuovere del tutto l'esistenza di un padre) o l'ateismo (il negare l'esistenza del padre o della sua potenza).
Quel tale continuò a riflettere, e si disse che, sempre, per eliminare un conflitto e pacificarsi non vi è che un mezzo: la fine fisica dell'elemento con il quale si entra in conflitto.
D'altronde questo è il sentimento che, nell'uomo, genera ogni guerra, ogni lotta, ogni violenza, con la scusa che sta cercando e producendo pace.
Perché il conflitto è nell'uomo, in quanto la scintilla che lo tiene costantemente in vita, è come l'effetto dello sfregamento di due pietre una sull'altra. Così l'uomo non comprende che eliminare fisicamente, o rimuovere ignorandone volutamente l'esistenza, ciò con cui è in conflitto, è un suicidio; una pietra da sola non produce scintille (ricordate il koan "qual è il suono di una mano sola?")
Il Padre Archetipico non muore, non può. Né muoiono i Fratelli. Perché a ogni padre che muore si sostituisce un figlio che ne assume il potere, e i suoi figli.
La verità è che uccidere il Padre è possibile solo uccidendo se stessi; e molti usano l'intera propria vita per farlo.

Il Deserto dei Padri


martedì 21 febbraio 2017

Sapienza, Conoscenza...

La Sapienza è di chi sa che esiste l'Albero del Pane, in lontane lande, e ne serba la descrizione e l'immagine da altri riportata.
La Conoscenza è di chi sa quali sono le condizioni perché l'Albero del Pane possa svilupparsi, le ri-produce, lo fa nascere, VIVERE, e lo rende parte della nostra vita qui ed ora.
Sapere è indagare ciò che non si può vivere; Conoscere è vivere TUTTO senza indagare.
l'Albero del Pane


lunedì 13 febbraio 2017

Bacchette e bacchettoni

Quando la ragione non riesce più a trovare mezzi o strategie per superare un problema, alcuni ricorrono alla richiesta di miracoli presso i santi che hanno dimostrato di averne fatti di più in passato, o alla magia.
Comunque ricorrono alla richiesta di un intervento esterno e capace di sovvertire le leggi della natura o della logica o della causalità.
E' strano che nessuno pensi di diventare santo o mago per ottenere quello che, naturalmente o razionalmente, sarebbe impossibile ottenere. Forse la cosa che si ritiene più impossibile tra tutte è proprio diventare santi o maghi... perché è faticoso.
Quello che non si sa, e che quindi induce all'errore, è che sia i miracoli che le "magie" sono interventi naturali e nient'affatto soprannaturali, perché sono azioni effettuate sulle cose della natura e sul loro normale andamento; e che la possibilità che eventi altrimenti irrealizzabili si verifichino è - casomai - dovuta all'interazione forte (espressione - si noti bene - tratta dalla fisica quantistica) tra l'oggetto dell'operazione e chi la richiede.
Quindi, anche il santo che volesse favorirvi, dovrebbe passare attraverso di voi per cambiare le carte in tavola e a dar luogo all'inaspettato; e se voi non foste nella condizione adatta, non potrebbe farlo. Orbene, chi chiede a un terzo, senza operare su se stesso, non è nella condizione adatta.
Per questo molti miracoli che, se solo  le persone fossero - come si dice - "allineate", accadrebbero naturalmente senza alcun intervento, non accadono.
Non ci sono scuole di miracoli, forse perché chi li fa non intende disperdere il proprio potere insegnandolo, oppure, meno maliziosamente, perché se si desse a qualcuno il potere di farne, quegli lo userebbe per far scoppiare bombe - miracolosamente - senza detonatore...
Però esistono scuole che insegnano ad essere "allineati". Non cercano allievi, ma ci sono, a volte e per fortuna raramente, allievi che le cercano.


Campionario di bacchette magiche


giovedì 2 febbraio 2017

Carta da musica

Un imprenditore, illuminato, brillante e animato dall'utopia di "fare del marketing una scienza umanistica", mi spiegava come "il modo attuale di fare impresa non funziona più, le esigenze del mercato sono totalmente cambiate, ma gli strumenti a disposizione sono ancora quelli del vecchio modo di intraprendere; così le nuove imprese rischiano di non decollare, strozzate da regole inutili etc."
Mi illustrava come sia necessario costruire un nuovo modo, e lo faceva utilizzando una metafora: "Come la musica è da sempre scritta sul pentagramma, così la progettazione di una nuova impresa è scritta su una sorta di canovaccio: ebbene oggi occorre inventare una nuova carta da musica, un diverso pentagramma".
Questa sua calorosa affermazione, che sembrava infiammarlo di entusiasmo, ha suscitato in me delle riflessioni sul senso di "progetto", cosa di cui (casualmente?) scrivevo qui nei due o tre articoli precedenti.
E' avere il giusto pentagramma che consente di scrivere grande musica? O esiste già una musica che qualcuno, udendola e rimanendone affascinato, desidera poter riprodurre? Se è vera questa seconda ipotesi, questo qualcuno potrà desiderare inventare un modo per trascriverla al fine di tramandarla e di poterla eseguire ogni volta lo si desideri.
Allora inventerà un pentagramma e attribuirà a segni grafici quali le palline un valore convenzionale che significherà un suono o l'altro a seconda di dove, sul pentagramma, vengano collocate.
Così, è necessario che la "musica" esista già, perché l'invenzione di un "pentagramma" abbia senso.
E credere che basti inventare un nuovo schema per produrre musica diversa è forse illusorio.
Fuor di metafora: per codificare delle nuove regole dello stare insieme tra uomini, occorre che sia stato prima realizzato l'uomo nuovo; e questo non sarà certo fatto dall'ever scritto, uomini vecchi, regole spacciate per nuove, ma che non possono che essere vecchie, per uomini che non esistono ancora e che i vecchi non hanno la minima idea di come siano.
Ma fare impresa non è fare l'Uomo Nuovo, ma fare soldi.
All'amico imprenditore questa osservazione non è piaciuta, ma mi vuole bene e mi ha perdonato.

"Carta da musica", nient'altro che pane


martedì 31 gennaio 2017

Fare da grande

Ai bambini si chiede, fatalmente: "Che cosa vuoi fare da grande?". E si ricevono risposte, di solito, assai improbabili.
Crescendo, quel bambino sceglierà dei modelli e il suo intento, il suo voler fare, diventerà il suo voler essere.
Più avanti, quando farà ciò che sarà costretto a fare e sarà quel che sarà costretto a non essere, non gli resterà altro che stabilire ciò che vorrà sembrare.
Quindi comincerà a fare cose che gli consentiranno di fingere con se stesso di essere quel che si sforzerà di sembrare agli altri.
L'inganno è compiuto, e la condanna alla menzogna perenne è così comminata: questa pena, per un reato mai compiuto, si chiama "personalità", o "falso Io", o "ideale dell'Io": è un tiranno che non consente altro che di sembrare ed ingannarsi, perché ogni tentativo di essere quel che si è sarebbe un tradimento verso le aspettative degli altri, ai quali si apparirebbe diversi, tradendo le loro aspettative. La punizione? "Mi hai deluso, allora non ti amo più!".

In questa prigione resta impossibile dare risposta a una domanda che ci si smette allora di fare: chi sono? Perché la risposta a questa domanda potrebbe essere data solo a posteriori, quando si fosse diventati ciò che si doveva essere, e lo si constatasse.
Essere, infatti, non è cosa che può piegarsi al volere, ma è la progressiva manifestazione di quel che si è fin dall'origine, e che la vita dovrebbe consentire di attuare.
Ma non si è mai diventati altro che quello che si voleva sembrare. Si muore non avendo mai potuto scoprire chi si fosse realmente.
E questa non è una condizione definibile "umana". Umana è solo la ricerca totale della propria Essenza.

Un'Essenza speciale


sabato 28 gennaio 2017

Tapis roulant

Un grande Maestro disse una volta che sulla Via (spirituale) esistono i cercatori e i trovatori.
A suo tempo, scherzai dicendo che, poiché una delle due condizioni esclude l'altra, ciò significa che nessun cercatore abbia mai trovato.
E questo è terribilmente vero.
Chi cerca infatti ha inevitabilmente delle aspettative e dei preconcetti, tali per cui dichiarerà di aver trovato solo quando avrà incontrato quello che si aspettava di trovare.
Viceversa, la Via spirituale è la Via dell'inaspettato, dell'inusuale, di ciò che mai ci si sarebbe potuti immaginare, e stravolge ogni tranquilla aspettativa. Sconvolge, modifica, trasforma, crea (plasma) chiunque vi si trovi, inaspettatamente, sopra.
La Via spirituale, più che un faticoso percorso simile al Cammino di Santiago, è un tapis roulant, che trascina chiunque vi metta il piedi sopra, là dove essa conduce: che non è mai il luogo pacifico dei mari del sud in cui il cercatore avrebbe voluto prendersi una vacanza da se stesso.
Dunque non vi è alcuno che, potendo dichiarare di aver trovato la Via o il maestro, lo abbia trovato davvero. Ma vi sono alcuni che, non avendo cercato mai, ma avendo solo coltivato un'aspettativa vaga e confusa di incontrare l'inaspettato, sono stati trovati. Non ne gioiscono particolarmente, né lo dichiarano con orgoglio vanitoso; ne prendono atto e si mettono al servizio.
Il trovatore, al dunque, è colui che viene trovato. E chiunque dice di aver trovato, si è perso.

Un tappeto... volante?