giovedì 12 luglio 2018

Tutto

Ha detto un grande maestro che agli uomini si può togliere tutto, ma non la speranza.
E' passato un tempo che potrebbe essere un'eternità, e gli uomini hanno dovuto rinunciare alla speranza, essendo stato loro rivelato, dalla dura realtà, che essa è stata ridotta ad illusione. Questo è l'insegnamento di fine epoca.
Sebbene sia illusorio, la psiche umana ha necessità di inventare un progresso dei tempi controllabile, che chiama futuro; ed ha quindi bisogno di una categoria sostitutiva, nella nuova era. Più concreta, più affidabile, più adulta, più seria: quella del desiderio.
Il desiderio è ciò che attrae "verso", che obbliga a progredire; il desiderio è il fratello della mancanza, e dell'assenza, ed è il contenuto dell'amore. Il desiderio conduce verso il suo oggetto e, contrariamente alla speranza, "vede" questo oggetto e lo afferma raggiungibile, rivelando a se stesso tutta la potenza dell'amore.
La nuova era afferma:
Toglietemi Tutto, in modo che io possa desiderare Tutto, e che io possa per amore raggiungere Tutto quello che avevo sperato invano che voi voleste darmi, e che ora so che posso raggiungere io solo, da solo, in libertà.

mercoledì 11 luglio 2018

Visioni

Maestro è colui che non vi racconta di mondi che non potete vedere, chiedendovi di credergli, ma colui che vi aiuta ad imparare e ad esercitare la visione di quei mondi perché possiate guardarli insieme con lui, rendendovi maestri a voi stessi.

Questa è la risposta che do ai pochi che - bontà loro - mi chiedono come "scegliere un maestro".
Ometto in genere, per eccesso forse di delicatezza, di precisare che il maestro non lo si sceglie, ma se ne viene scelti, dacché chi sceglie un maestro come atto di volontà propria ne resterà certamente deluso; ometto inoltre di precisare che, sebbene la visione non sia la vista, è pur sempre una funzione che ha bisogno di organi a supporto, e dei quali non tutti, alla nascita, sono dotati; nessun maestro dunque potrà mostrargli ciò che non può vedere perché privo di vista. Chi si trovasse in questa condizione, sarebbe dunque da quel maestro egualmente deluso; come colui il quale, possedendo ogni possibilità di vedere, e vedendo persino, si rifiuti di accettare che quello che vede è reale... cecità, questa, non degli organi, ma della qualità umana nella sua interezza.
Se vi si dice che siamo tutti fratelli, diffidate. Siamo tutti viventi, anche i sassi, e questo è vero. Ma la vita di un sasso e quella di un animale sono cose diverse, hanno modalità e finalità funzionali diverse. I sassi sono fratelli dei sassi, gli animali degli altri animali della propria specie etc. Dunque vi sono quelli che, occupandosi di sassi, dicono agli animali che ne sono fratelli: magari in buona fede, stanno però ingannando sassi ed animali... ma c'è il caso che si tratti di quelli che, non avendo visioni da insegnare, non si curano di distinguere chi ha gli occhi da chi non li ha.
Il Vivente non ha fratelli, perché è Uno... ma questo apre ad altre considerazioni.


domenica 8 luglio 2018

Il frutto della passione

Passione e Piacere sono entità che si rinforzano reciprocamente; ma che - e questo è ciò che più conta - sono complementari, ossia esistono l'una in funzione dell'altro, e viceversa, tanto che la mancanza di uno dei due termini annulla l'altro.
Il dramma di questa fase del processo evolutivo umano (che una fine/transizione ad altro) è che si cerchi il Piacere senza avere alcuna Passione, esattamente come fanno i bambini che per questo motivo furono denominati da Freud "polimorfi perversi". Tali sono gli adulti, in questa fase, perché regrediti; e la società da essi generata è dunque infantile e fine a se stessa, come lo sono i giochi fanciulleschi. Come lo sono i loro bisogni e paure... basta rifletterci.
L'assenza di Passione verso alcunché, rende piatto ogni valore, e ne priva ogni cosa, dato che per questo mondo il "valore" non è più "virtus", ma è una misura data da quanto si è disposti a pagare per possedere qualcosa: senza Passione, non si è disposti a "pagare" (in nessun senso) alcunché.
Nessun Rispetto, dunque, per ciò che non ha valore... per nulla che non sia l'Ego da soddisfare nei suoi appetiti improvvisi e disordinati. Le risposte ai quali sono compulsive, e generate dalla paura di rimanere "senza", il che significherebbe fare i conti con il Vuoto e l'Assenza (1), ossia con quella solitudine che rivela all'uomo di essere potenzialmente Uomo, se solo egli fosse in grado di percepire la differenza fra i due stati... l'uomo ha il terrore di essere strappato alla sua animalità.


(1) Qualcuno ha detto :"Un modo dell’apparizione del Divino è il ritirarsi, fino al nulla." "Ciò che sperimentiamo come un’ossessione del nulla o come acquiescenza nel non essere oltre il quale non abbiamo più alcun potere, era [...] una manifestazione dell’ira divina, l’ira del mistico Amato. Ma era anche questa una Presenza reale [del divino]”.



mercoledì 4 luglio 2018

Scelte e scelti

Da un punto di vista ontologico le sole leggi degne di tal nome, e del rispetto che la loro autorevolezza richiede, sono quelle che non prevedono sanzioni per i trasgressori. Tutte le altre sono norme abusive.
Perché non prevedono punizioni? perché il fatto di non sottomettervisi è punizione in sé: mi riferisco a cose molto di base, come l'obbligo di nutrirsi, o di mantenersi in buona salute; ma anche a cose meno scontate quali il mantenere la parola data, o il rigore, o l'onore, il rispetto... tutte leggi che, come il nutrirsi, ove non vengano obbedite, producono con ciò stesso un danno irreparabile all'essere.
Di danni irreparabili dunque ne sono stati fatti, e se ne fanno ogni giorno, moltissimi.
Si crede che - nascondendole -  la disconoscenza pubblica delle proprie mancanze sottragga alle conseguenze, come accade per le leggi che prevedono sanzioni; ma non è così. Di modo che tutto questo non fa che generare comunità di persone ferite e malate delle malattie e delle ferite che essi stessi hanno inflitto alla loro integrità.
L'aver passato gran parte della mia esistenza a curare, mi consente di osare una domanda: è giusto curare le malattie e le ferite di chi se le auto-infligge?

"Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro." (Luca 4, 25-28)

mercoledì 27 giugno 2018

Riflessioni di un osservatore

La semplicità è l'essenza di una raffinata complessità,.
La rozzezza è l'essenza di una volgarità caotica, e  - negli uomini -, come suggerisce lo slogan di un mangime, "nutre la loro voglia di essere animali".

martedì 26 giugno 2018

Messe a fuoco

La rivelazione è una subitanea quanto inaspettata posizione della coscienza che consente una visione: pressappoco come quando, osservando nel mirino di una macchina fotografica, le molte macchie di luce si trasformano in chiari oggetti in grazia del posizionamento dell'obiettivo su una determinata lunghezza focale; ciò che è sul piano di quella lunghezza risulta chiaro e collegato a definire un "quadro"; mentre tutto quello che è su altri piani, più lontani o più vicini non importa, si sfoca e perde dettagli, confini e consistenza.
La rivelazione è una istantanea "messa a fuoco"; la coscienza è quel "fuoco".
"Mettere a fuoco" però è espressione che significa anche "gettare tra le fiamme" qualcosa; e chi lo fa può essere animato da due opposte motivazioni: distruggere quel qualcosa, o alimentare piuttosto un fuoco per generare calore e luce.
Così una messa a fuoco ottica (o visionaria) distrugge la consistenza di tutto ciò che non è sul piano focale, per dar luce, definizione, contorno, realtà e calore vitale ed emotivo a quanto vi si trova.
Questa, è una rivelazione; e quale sia la distanza focale che la consente è definito dall'osservatore.
Al quale può essere rivelato come - essendo innumerevoli i piani focali possibili -  la consistenza del Reale sia ottenibile e insieme verificabile solo quando si decida di porre il fuoco su "infinito"∞, ottenendone una visione non planare, ma complessiva ed unitaria, nella profondità.
Questa, è la coscienza (e la visione) dell'infinito.

Vi(t)e

Chiunque costruisca la propria vita con la consapevolezza che essa debba portare da qualche parte, è costretto a considerarla come una specie di strada: ogni giorno è allora un metro da aggiungere.
Mentre è certo che la vita non possa essere che una strada da percorrere, è incerto il modo in cui questo venga compreso e - se sì - il valore che alla costruzione di essa si attribuisce: la strada è uno strumento per andare da qualche parte? o è uno strumento perché altri possano raggiungerci?
Pare una questione di poco conto, e invece è una questione cruciale perché, nel primo caso, ogni giorno ci rende diversi, in quanto ci obbliga a spostarci dalla posizione precedente per raggiungerne una un metro più avanti: nel secondo, ci lascia sulle nostre posizioni e ci mette in uno stato di attesa degli eventi e dei visitatori che vorranno avvicinarsi.
Vivere in un modo o nell'altro fa una grande differenza. Anche se si tratta esclusivamente di una posizione della coscienza, o della psiche in genere, dal momento che per avanzare al fine di costruire un metro di strada in più si è obbligati a muoversi dalla posizione precedente, anche se per tornarvi subito dopo... e anche se ogni strada che ci porti da qualche parte consente anche sempre, a chi voglia raggiungerci, di farlo; tanto che - se non volessimo andare da nessuna parte -, nessuno ci potrebbe mai raggiungere...
E' sempre sorprendente, per chi scrive, scoprire come ogni realtà che meriti di essere definita tale (e che non sia dunque una fantasia del pensiero) non sia altro che quello che la coscienza ha saputo costruire come reale. Questo inchioda chiunque alla responsabilità della propria felicità e degli eventi che lungo la strada si verificano, e che ognuno di fatto evoca, o meglio crea. Inchioda ognuno alla propria croce, alla propria morte e alla propria resurrezione.