giovedì 9 agosto 2018

Piccole cose

La vera amicizia si rivela nelle piccole cose. Nelle grandi, semplicemente, non c'è.

Onde sopravvivere

La vita organica è un'onda. Sono Viventi quelli che sanno cavalcarne la cresta come un surfista, in equilibrio, facendosene portare. Tutti gli altri ne sono sommersi, travolti, soffocati.

Pholeterion

mercoledì 8 agosto 2018

La parola del maestro

Il maestro ha sempre ragione... è vero, ma nessuno deve essere obbligato a dargliela. Essere nel torto è un diritto umano.

martedì 7 agosto 2018

Beati i depressi

La depressione è la percezione del vuoto che si trova al centro dell'essere umano per sua specifica costituzione. L'uomo è una perla che si cristallizza attorno a un granello di sabbia che è il suo vuoto.
Questo vuoto è simile a un sole attorno al quale si condensa un cosmo, o - se visto dalla parte opposta - a un buco nero all'interno del quale esso viene riassorbito; questo vuoto è lo stesso che vi è tra le due ampolle di una clessidra, attraverso il quale scorre la sabbia... attraverso il quale dunque il contenuto di ciò che è in alto scende in basso.
Il buco vuoto è colmato dalla sabbia che scorre finché scorre; non c'è vuoto fin tanto che ciò avviene. Quando l'ampolla di sopra è vuota, la sabbia non scorre più, e il vuoto si manifesta; ed è un sgomento doloroso, la paura dell'assenza. Allora è il tempo di rovesciare la clessidra, perché ogni granello riprenda a scorrere.
La depressione è il segnale che la propria vita deve essere ribaltata: non vi è depressione se la sostanza scorre e finché lo fa...
Questo essere un vuoto che si colma al passaggio, è la funzione di tramite che ha l'uomo, per sua natura... è la funzione umana "in genere", nella sua forma organica. La percezione del vuoto è dunque in sé la scoperta della propria ragione di vita, in senso assoluto.
La domanda che il depresso si fa: che vivo a fare? (che è la domanda più seria che uno possa farsi) trova la propria risposta all'interno di se stessa.
Ma una volta che si sia - per propria fortuna - sperimentato il vuoto, se si pensa che esso possa essere colmato da qualcosa che non cada dall'alto, ma risalga dal basso, ci si sbaglia; e ci si condanna all'insopportabile percezione della propria inutilità. E' solo allora che la depressione diventa una malattia.

domenica 5 agosto 2018

Lampi

Viviamo in questo mondo come ciechi dalla nascita. Conosciamo ogni angolo di esso e ci muoviamo come se ci vedessimo, con sicurezza e precisione.
Se un lampo di luce, improvvisamente, lo illumina, non ce ne accorgiamo, perché siamo ciechi; ma alcuni scoprono, proprio in quel momento, di non essere ciechi, ma solo di ignorare di avere una vista, dato che non avevano mai avuto occasione di verificarlo prima. E quelli allora si adoperano per trasformare un lampo in una illuminazione costante, cercando l'aiuto di quanti - come loro - ci vedono. Il mondo dei ciechi va per altre strade, risponde ad altre esigenze, e non ha né bisogno, né desiderio della luce.

giovedì 2 agosto 2018

Brutti sogni

Uno degli amici che camminano con me mi ha raccontato un sogno che l'aveva visibilmente turbato, sia per il contenuto che per l'impressione di verità che gli aveva trasmesso.
Vi erano al mondo alcune persone che vestivano una sorta di saio turchino, pallide ed emaciate, dagli occhi affossati; si trattava di malati terminali. Il sognatore apparteneva a una sorta di corpo militare il cui compito era di sorvegliare queste persone, in parte per proteggerle data la loro fragilità, in parte per evitare che si incontrassero tra loro. Ogni sorvegliante si occupava di un solo malato e lo osservava da lontano con discrezione. Il motivo per il quale questi malati non dovevano incontrarsi era che tra maschi e femmine si doveva evitare che nascessero amori; se una donna infatti fosse rimasta incinta, ammesso che non fosse morta prima di partorire, il neonato sarebbe stato della stessa genìa dei genitori, dunque un morente, sebbene appena nato... il paradosso, che nel sogno si manifestava come una sorta di pericolo tormentoso nell'anima del sognatore, e che lo inquietava profondamente, era appunto che potessero nascere dei morenti, e che una sorta di mutazione genetica producesse questa nuova specie della razza umana: i morenti!
Ci siamo, insieme, sforzati di analizzare il sogno... non con l'intento di farne oggetto di psicoanalisi soggettiva, ma con quello di farne affiorare un qualche messaggio recondito oggettivo, se ci fosse stato. Abbiamo osservato come la vita organica sembri voler travalicare i limiti della morte, e come vita e morte riproducano se stesse: la vita attraverso la morte, la morte attraverso la vita. La vita organica non guarda in faccia nessuno, non le interessa la forma di vita alla quale il suo meccanismo dà luogo, ma è solo interessata a riprodurre se stessa... la vita - sembra dire il sogno - è dominata dalla paura di morire.
Ho chiesto al mio amico quale fosse - nel sogno - la posizione del sorvegliante/sognatore, in base alle emozioni che provava: mi ha detto che si sentiva inquieto, angosciato, ma che sapeva che i morenti erano ancora in minoranza rispetto all'umanità, e che provava un desiderio di protezione verso di loro che si allargava alla necessità di isolarli tra loro al fine di non perpetuare il loro dolore. Lui sorvegliava una donna e provava per lei una immensa tenerezza; comprendeva che aveva tanto bisogno d'amore, anche se non aveva speranza... Ma questo amore - terribilmente - avrebbe prodotto un dolore connaturato con la vita stessa... Ricordava, il mio amico, di aver sentito dire recentemente da un medico che curava dei malati gravi che quello che non si può curare, si può però cronicizzare... quindi - diceva il medico - si è di molto allungata la speranza di vita. "Forse - aggiungeva - sono rimasto colpito da questa frase..."

mercoledì 1 agosto 2018

P.I.P. Prodotto Interno Pulito

Un tale, avendo ricevuto in eredità da suo padre un sacco con della semenza, un campo e gli insegnamenti dell’opera, prese a coltivare del grano.
Quanto aveva ricevuto era tutto molto buono, sicché ottenne dieci misure di grano; poiché per vivere a lui ne serviva una sola, tutti gli consigliavano di vendere le restanti: se avesse trovato compratori, sarebbe in breve diventato ricco. Ma il contadino aveva quello che gli serviva e allora fece sapere che avrebbe distribuito in dono le altre ai primi nove poveri che si fossero presentati. Vennero, e lui donò, sfidando la rabbia di altri contadini che perdevano così dei potenziali clienti. Ma il contadino disse: “Io dono a quelli che non hanno abbastanza denaro per comprare la vostra merce, quindi non vi tolgo niente.”
Dopo alcune stagioni, uno di quelli che riceveva una misura sentì il bisogno di sdebitarsi in qualche modo, e andò dal contadino:
-“Vorrei poter contraccambiare i tuoi doni, e siccome non ho niente altro che quello che tu mi doni,  ho pensato di venire a lavorare con te, in modo che tu possa faticare la metà, per ottenere le dieci misure.”
-“ Se tu vieni, io non voglio faticare di meno, ma sarò contento perché produrremo venti misure.”
Così si fece, e, tolte le due misure che servivano ai due per sopravvivere, ne restarono diciotto, che vennero distribuite. Tra i diciotto beneficiari, due chiesero di partecipare al lavoro, non sembrando loro giusto di vivere senza dar nulla in cambio. Così si ebbero quaranta misure e trentasei beneficiari, tra i quali alcuni chiesero di lavorare…