mercoledì 19 luglio 2017

Ribellione, liberazione, libertà

Si dice che, sulla Via, un difetto caratteristico del discepolo ben orientato e sincero, sia la tendenza insopprimibile alla ribellione. Difetto che quindi diventa il rivelatore di una qualità spirituale che distingue il "figlio dell'uomo che è Figlio di Dio".
Dentro una prigione, qualunque atto libero finisce infatti per essere, inevitabilmente, un atto di ribellione; e questo implica che il prigioniero, colui il quale è nella condizione non solo fisica ma anche psicologica del prigioniero intollerante, non può che produrre atti di ribellione.
Quando un atto di ribellione fosse tanto potente da abbattere le mura della prigione, questo sarebbe un atto di liberazione. E qui si vede come un atto di liberazione non possa che risultare distruttivo, almeno rispetto all'ordine precedentemente costituito: ogni riscatto e ogni rivoluzione lo testimoniano.
Un figlio dell'uomo che è Figlio di Dio, è un prigioniero di se stesso, e quindi la sua vita stessa è un susseguirsi inesorabile di atti di ribellione finché non si realizza - se Dio vuole - la liberazione. Ribellione a se stesso, alle costrizioni e ai limiti che egli stesso si è dato, ma che anche ha contribuito a costruire nella forma che si chiama Società. Questo essere, è un prigioniero che, posto ai lavori forzati, costruisce, restaura e consolida continuamente, obbligatoriamente, la prigione che lo racchiude; ma anche che, a differenza dei semplici figli degli uomini, non sopporta questa condizione e anela alla libertà totale, in quanto percepisce in sé una sorta di regalità, di discendenza nobile che lo costringe, quasi per obbligo di natura, a riprendersi il regno che gli è stato usurpato. Ogni grande dramma umano, che contenga nobiltà, è, in questo modo, una esperienza iniziatica.
La libertà è creatività; e quindi ogni atto di libertà non potrà mai essere distruttivo, ma solo creativo.
La libertà è però Necessità, ossia condizione in cui ogni gesto dell'Uomo Libero produce, è causa di una concretezza, di un evento interiore individuale che diventa immediatamente collettivo, e che impone quindi una costante sorveglianza e un senso di responsabilità costantemente vigile.
La condizione umana normale, individuale e collettiva, è quella di chi, prigioniero di se stesso nella prigione da sé costruita, ha la massima aspirazione raggiungibile nella liberazione, ma non nella libertà, che è una condizione spirituale: per questo molti strillano ottenendo con ciò solo di rafforzare la prigionia.
Ma non è questo il destino del figlio dell'uomo che è Figlio di Dio, di quel dannato ribelle.

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