domenica 7 ottobre 2018

Spes ultima dea

Suggerisco a quelli che hanno la bontà di ritenere utile quel che dico, di non coltivare la speranza.
Cosicché, quando mi è capitato di dirmi deluso del risultato di un certo lavoro, qualcuno mi ha fatto notare che dovevo aver io stesso coltivato qualche inutile speranza! Qualche illusione circa un esito che auspicavo.
Il fatto è che rinunciare alla speranza è umanamente impossibile; dunque la rinuncia è un fatto ultra-umano, ed è possibile solo a chi abbia saputo sostituire alla speranza la certezza, ossia la percezione della Verità (o della Realtà, che è lo stesso) come fatto costantemente presente nell'attuale. Che abbia dunque acquisito una percezione dello spazio/tempo non come scorrimento, ma come Presenza Permanente. E chi abbia fatto questo non è più - stricto sensu - un uomo.
«La nostra Speranza è così certa che è come se già fosse divenuta Realtà. Non abbiamo infatti alcun timore, poiché a promettere è stata la Verità, e la Verità non può ingannarsi né ingannare[S. Agostino]
Ma gli umani sperano ("A chi è nel timore, sia consentita la speranza", dice Lucano), hanno aspettative, coltivano ora per raccogliere poi, e raccolgono sempre quel che seminano. Allora quando suggerisco di non coltivare la speranza, suggerisco di smetterla di accontentarsi di essere semplicemente umani.
Sì, ha ragione chi mi ha rimproverato: coltivo la speranza che qualcuno abbia saputo abbandonarla e andare oltre, realizzando quel che è, ovvero trasferendo in Realtà ciò che è in Potenza. Vedere che non è così, mi delude.

Allegoria della Speranza

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