sabato 8 settembre 2018

Liberazione

Dal punto di osservazione di chi scrive, si può constatare come molti dei malanni (psicologici e anche fisici) delle persone, derivino da relazioni (personali, sociali, affettive...) fondate sul reciproco sostegno e conferma delle proprie negatività. (considerate erroneamente come propria identità: "io sono fatto/a così").
Queste persone soffrono, ma sono come incatenate dalla relazione, e alla situazione che essa inevitabilmente genera, tanto che, data questa, è facile prevederne gli esiti infausti a breve, medio e lungo termine. Esiti che sembrano ineluttabili dal momento che la loro causa è anche il nutrimento principale dell'identità di chi ne è divorato. Per cui questi si vede costretto a scegliere tra due "morti" temute: quella per "fame" e l'altra per "avvelenamento".
Situazione dalla quale - dunque - sembra impossibile uscire, se non con una fuga, che però non è mai una fuga reale (ossia un allontanamento deciso, fisico e mentale dalla situazione e delle relazioni che la determinano accettando la solitudine) ed è quasi sempre una fuga nell'immaginario, nel sogno, nel sonno della coscienza: dipendenze varie, dunque, di ogni tipo (dal sesso, all'abuso di sostanze o abitudini ossessive) o derive misticheggianti e pseudo-religiose; oppure nella depressione apatica ed insensibilizzante, che funzioni da anestetico, come a volte fanno anche gli eccessi pericolosi ed adrenalinici.
In parole povere, al dolore dell'esistere si risponde con una sorta di bulimia generalizzata o all'opposto di anoressia, che è totale mancanza di desiderio di nutrirsi, di ap-prendere, quindi di crescere.
Tutto ciò è il prodotto - ripetiamo - di situazioni relazionali, certamente famigliari ma non solo.
Chiamiamo qui - con un eufemismo - "situazioni relazionali" quelli che sono invece semplici "legami", cioè catene, legacci, impedimenti... una persona legata in catene in una cella non può star bene qualsiasi cura le si pratichi, ed è facile prevedere che ammalerà e che non avrà condizioni per guarire dalla malattia se non a condizione della liberazione.
Ora, riflettendo a questo, potrà apparire come questa prigionia appartenga, in fondo, alla condizione umana in sé, concepita come è come somma di relazioni utili alla sopravvivenza (dell'individuo, del gruppo, o del sistema di relazioni stesso?).
E allora, la Liberazione in che consisterebbe? Sebbene non appaia ancora nella sua completa drammaticità (oscurata com'è dalla drammaticità degli esiti della prigionia) questa è la domanda che l'Uomo è ora costretto a porsi ed alla quale cercare urgentemente risposta. Non pare ancora, ma sarà presto questione di vita o di morte.

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