giovedì 2 agosto 2018

Brutti sogni

Uno degli amici che camminano con me mi ha raccontato un sogno che l'aveva visibilmente turbato, sia per il contenuto che per l'impressione di verità che gli aveva trasmesso.
Vi erano al mondo alcune persone che vestivano una sorta di saio turchino, pallide ed emaciate, dagli occhi affossati; si trattava di malati terminali. Il sognatore apparteneva a una sorta di corpo militare il cui compito era di sorvegliare queste persone, in parte per proteggerle data la loro fragilità, in parte per evitare che si incontrassero tra loro. Ogni sorvegliante si occupava di un solo malato e lo osservava da lontano con discrezione. Il motivo per il quale questi malati non dovevano incontrarsi era che tra maschi e femmine si doveva evitare che nascessero amori; se una donna infatti fosse rimasta incinta, ammesso che non fosse morta prima di partorire, il neonato sarebbe stato della stessa genìa dei genitori, dunque un morente, sebbene appena nato... il paradosso, che nel sogno si manifestava come una sorta di pericolo tormentoso nell'anima del sognatore, e che lo inquietava profondamente, era appunto che potessero nascere dei morenti, e che una sorta di mutazione genetica producesse questa nuova specie della razza umana: i morenti!
Ci siamo, insieme, sforzati di analizzare il sogno... non con l'intento di farne oggetto di psicoanalisi soggettiva, ma con quello di farne affiorare un qualche messaggio recondito oggettivo, se ci fosse stato. Abbiamo osservato come la vita organica sembri voler travalicare i limiti della morte, e come vita e morte riproducano se stesse: la vita attraverso la morte, la morte attraverso la vita. La vita organica non guarda in faccia nessuno, non le interessa la forma di vita alla quale il suo meccanismo dà luogo, ma è solo interessata a riprodurre se stessa... la vita - sembra dire il sogno - è dominata dalla paura di morire.
Ho chiesto al mio amico quale fosse - nel sogno - la posizione del sorvegliante/sognatore, in base alle emozioni che provava: mi ha detto che si sentiva inquieto, angosciato, ma che sapeva che i morenti erano ancora in minoranza rispetto all'umanità, e che provava un desiderio di protezione verso di loro che si allargava alla necessità di isolarli tra loro al fine di non perpetuare il loro dolore. Lui sorvegliava una donna e provava per lei una immensa tenerezza; comprendeva che aveva tanto bisogno d'amore, anche se non aveva speranza... Ma questo amore - terribilmente - avrebbe prodotto un dolore connaturato con la vita stessa... Ricordava, il mio amico, di aver sentito dire recentemente da un medico che curava dei malati gravi che quello che non si può curare, si può però cronicizzare... quindi - diceva il medico - si è di molto allungata la speranza di vita. "Forse - aggiungeva - sono rimasto colpito da questa frase..."

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