domenica 4 marzo 2018

Roba rotta

Le cose che si rompono, o si usurano, possono essere riparate per ripristinarne l'intera funzionalità solo se si dispone dei mezzi necessari per farlo: risorse economiche, strumenti e materie prime.
Arriva sempre, comunque, un momento in cui vi è una mancanza di mezzi e il danno diventa perciò irreparabile; in genere ciò coincide con il fatto che la cosa rotta non servirebbe più neanche se venisse riparata. Anzi essa è un ingombro, un rifiuto difficile da smaltire.
Dal momento della rinuncia alla riparazione alla distruzione totale della cosa rotta, c'è un tempo di latenza, una sospensione di ogni divenire che non sia rivolto alla dissoluzione e alla disgregazione dei legami molecolari che fanno della cosa una cosa. Se se si potesse osservare il fenomeno al microscopio, si vedrebbero le molecole e gli atomi distaccarsi da un nucleo virtuale che li teneva uniti, magneticamente, come un polo, e fluttuare prima attorno e poi sempre più lontani dal nucleo, in attesa che qualche nuova aggregazione possa formarsi spontaneamente. Umanamente parlando, è questo il fenomeno delle migrazioni di massa.
Ebbene, siamo nel periodo di latenza della "cosa rotta".
Sebbene tutto ciò si sappia, anzi si veda, anzi: si senta così fortemente da appartenere al vissuto di ogni essere che goda di qualche coscienza (che vuol dire coerenza quantistica), si finge che la cosa rotta sia risanabile, con una disperata e sesquipedale ipocrisia, il cui scopo è solo di far soldi persino smaltendone il rifiuto.
Infine, chiunque sia dotato di tale coscienza, che è pure un segno di "legame" quantistico indistruttibile tra tutte le briciole del Vivente, sente forte il desiderio - invero vitalissimo - di condividere la latenza e la dissoluzione per contribuire a creare legami del tutto nuovi e forme del tutto sconosciute (ancora) agli umani.



sabato 24 febbraio 2018

Perché

Perché tanti politici si danno battaglia con tanto ardore per guadagnarsi il ruolo di nostri servitori?
Un tempo, le grandi case, quelle dei ricchi, avevano una governante; e vi poteva essere certo una competizione tra aspiranti a quel ruolo servile, dato che era un mestiere e un lavoro, sebbene tra i più umili.
Ma la mia casa è piccola e povera... perché allora tanta gente vuole venire a servirmi?

venerdì 23 febbraio 2018

Cani randagi

Si parlava pochi giorni fa (il 20 us, “Povertà”), su questo blog, di
"quei cani randagi imbrancati che sono coloro che, espulsi dalla società dei ricchi, popolano le periferie dell'umano nel tentativo di strappare con la violenza qualche brandello dei resti di chi li comanda".

Di oggi è questa curiosa notizia, tratta da “La Stampa”:

In provincia di Agrigento sterminano cuccioli da giorni, mentre il parco archeologico delle mura Timoleontee (Gela) è rimasto chiuso per settimane da gennaio poiché il custode rischiava d’essere sbranato. Ad Acquaviva delle Fonti (Bari) cinque mesi fa il sindaco Davide Carlucci ha rivolto un appello all’azienda sanitaria per tamponare l’emergenza randagi, che aveva fatto barricare in casa i residenti.
Doveva cambiare tutto dal 13 marzo 2009, quando a Scicli (Ragusa) Giuseppe Brafa fu ucciso a 9 anni da un branco di cani, e invece un pezzo d’Italia è finito fuori controllo. Il randagismo al Sud, generatore di crudeltà e accanimento sugli esemplari che vagano per campi e città, foriero di pericoli per la salute e l’incolumità degli umani, è in aumento: «Nel nostro Paese - la denuncia del Sivelp, sindacato italiano veterinari - i cani randagi potrebbero essere raddoppiati nell’ultimo quinquennio», rasentando quota 700 mila con stime d’un milione fra i più pessimisti. Meno drammatica la proiezione di Ilaria Innocenti (Lega Antivivisezione): «Settecentomila è una cifra attendibile ed esiste un divario nettissimo fra Nord e Sud. Le presenze nei canili , attualmente siamo a 79 mila, sono scese del 25% su scala nazionale rispetto a dieci anni fa, ma crescono nel Mezzogiorno, Puglia, Campania e Sicilia in primis. Senza dimenticare che spesso non vengono comunicati dati con puntualità».
Lascio ogni riflessione a chi ha ha voglia di farne...

giovedì 22 febbraio 2018

Citazione e commento

Citazione:
“… Giunto davanti al vescovo, senza esitare un istante e senza attendere le parole di nessuno si spogliò immediatamente di tutte le sue vesti e le restituì al padre. (…)
Francesco, toltesi persino le mutande, si denudò completamente davanti a tutti, dicendo al padre: “Fino ad ora ho chiamato te padre sulla terra, ma da adesso posso dire in tutta sincerità: Padre nostro, che sei nei cieli, presso il quale ho riposto ogni tesoro, ed ho collocato ogni fiducia e speranza”.
(San Bonaventura, Vita di San Francesco, II, 4)

Commento:
La Povertà è un lusso che i figli degli uomini non possono permettersi.

Povero orgoglio


Occorre che il Povero rivendichi il proprio stato con orgoglio, e ne faccia una scelta di vita consapevole.
Lo stato di Povertà è di fatto la negazione di uno stile di vita consumistico, anche solo perché non si è in condizioni di sostenerlo; ebbene, non potrebbe questa negazione di fatto testimoniare che non lo si vuole condividere? Che si può vivere assumendo altri valori? Che ciò è un atto di ribellione orgogliosa alla condizione sub-umana?
Cristo non stava tra i poveri, essendolo Egli stesso, per stare dalla parte dei deboli e degli indifesi, come si pensa: Cristo stava tra i poveri perché la Povertà è il solo stile di vita che testimonia l'umanità libera e capace di evolvere, a partire dal concetto della fiducia che nulla mancherà, perché il Padre provvederà ai suoi figli. Ai figli spetta dunque il solo compito di ricevere quel che il Padre dona, senza chiedere di più; il loro impegno è nell'essere degni di questo dono.
Questa scelta di vita è da assumere con orgoglio, perché la scelta è un atto di libertà e di consapevolezza.
Il fatto è che la povertà non è mai scelta, ma subita, e che ciò umilia; se è subita, autorizza (ed obbliga) a chiedere aiuto e cioè a chiedere pietà, con ciò attribuendo autorità e potere (di vita o di morte) a qualche ricco (anche solo di una moneta in più!), che se ne vanta e ne approfitta con arroganza; mentre se è scelta, non permette di chiedere aiuto ad altri che al Padre, e rifiuta la pietà perché non è dignitosa, mentre accetta l’aiuto come proveniente dal Padre attraverso qualche uomo che se ne fa servitore, anche se inconsapevole.
I poveri che subiscono sono quelli contro i quali questa società si scaglia, quelli che essa esclude ed emargina ed ”espelle”. Gli altri sono quelli di cui questa società ha paura perché ne negano ogni autorità e ne dimostrano l’ingiustizia, la menzogna e l’inutilità.
Per questo occorre che il Povero rivendichi il proprio stato con orgoglio, e ne faccia una scelta di vita consapevole, anche quando essa sia stata originariamente subita. Occorre che il Povero smetta di rivendicare il diritto a essere meno povero, protestando o pietendo, e cominci a integrare i ricchi che dallo stato di grazia chiamato povertà sono stati finora esclusi ed espulsi.

mercoledì 21 febbraio 2018

E basta!

Le parole tra le più usate in questo periodo (anche elettorale) sono "integrazione" e "espulsione", riferite agli immigrati.
Il concetto è che chi non si integra o non può essere integrato per saturazione, deve essere espulso.
Non si sente mai sostituire la parola immigrato con la parola povero. Gli immigrati sono poveri, e basta. Il problema non è la loro nazionalità, ma la loro povertà.
Il povero non può essere integrato in una società plutocratica perché non può comprare beni, né gli si possono sottrarre beni con la forza perché non ne ha potuti comprare; non può essere integrato se non cessa di essere povero. E basta.
Poiché per renderlo meno povero occorre che i plutocrati siano meno ricchi, allora è più facile espellerlo. Ogni povero è già stato espulso,d'altronde, in qualunque luogo geografico egli egli si trovi.
Ma dà comunque fastidio che sia ancora visibile ai margini del campo visivo.
Il povero non è integrabile, e se non lo è, è un elemento di dis-integrazione del sistema (uso il termine con il valore che gli si dà in fisica, e non in politica) che non vuole, né può, integrarlo.
E' un solvente di questo sistema sociale, corrosivo.
Non si può porre un freno a questo movimento progressivo di soluzione del problema. E basta.
I poveri, che sono nel mondo in netta maggioranza, non hanno abbastanza soldi per fondare un partito; così non andranno mai al governo, ma stanno dis-integrando il sistema e i poteri, perché non vi è potere che sia possibile esercitare se quelli su cui si eserciterebbe non sono coercibili.
Non si può fermare questo movimento. E basta.

martedì 20 febbraio 2018

Povertà


Nelle società demo-plutocratiche, quali quella che viviamo nella sua fase di disfacimento, la povertà è l'unico bene che l'uomo affrancato dalla propria animalità può permettersi.
La povertà è libertà dalle coercizioni, in quanto chi non ha niente da perdere risulta non ricattabile; ma è molto mal vista, a causa della sensazione di impotenza che genera; tanto che il povero viene attaccato continuamente da quei cani randagi imbrancati che sono coloro che, espulsi dalla società dei ricchi, popolano le periferie dell'umano nel tentativo di strappare con la violenza qualche brandello dei resti di chi li comanda.
E’ questa la ragione, solo apparentemente paradossale, per la quale il povero non viene sostenuto, ma costantemente perseguitato; e perseguito perfino in quanto, in questa ottica, la povertà è un grave reato di eversione, un tentativo di destabilizzazione delle ferme leggi che regolano l’arricchimento coatto.