mercoledì 5 ottobre 2016

Sole

Si racconta che il grande poeta mistico ed erudito Jalal ad Din Rumi stesse leggendo nella sua immensa biblioteca quando si presentò un mendicante che gli chiese: "Che cosa stai facendo?".
Infastidito dall'interruzione di quell'ignorante, Rumi rispose: "Qualcosa che non capisci!"
L'altro fece un gesto, e tutta la biblioteca andò improvvisamente in fiamme. Rumi, terrorizzato, chiese: "Che cosa fai?". E l'altro: "Qualcosa che non puoi capire!". E se ne andò.
Quel tale, che Rumi andò a cercare per il resto della sua vita, era il Maestro, Shams di Tabriz.
Shams significa Sole, e il Sole dà la luce, e scalda; tutti, nella misura in cui vuole. Esporsi ai suoi raggi o mantenersi nell'ombra è però una scelta.


Tabriz, ma di notte


sabato 1 ottobre 2016

Ancora su Cocoon...

A quelli che restano, la corazza serve. Servono le difese da un mondo aggressivo, violento, liberticida, in cui la follia (sia sul versante psichico che su quello organico) aumenta di giorno in giorno e sottende tutti i rapporti umani.
Per questo, chi resta, la sua corazza se la tiene stretta; ed anzi è portato a percepire come violenza il tentativo di chiunque accenni a volergliela togliere di dosso. Paradossale, ma vero.
E' per questo che la cura aggrava il malanno, e a volte scatena il malanno che la compensazione che sosteneva la corazza tende a mantenere, ma che a un tratto crolla.
Ora però tutto questo appare chiaro solo a chi, tra i vecchi, si è immerso nella piscina e ne è uscito rinnovato e rinvigorito; a tutti gli altri ciò è oscuro. Per cui, la reazione abnorme al "positivo", così inaspettatamente negativa, è incomprensibile e genera ulteriore follia (psichica e organica).
A chi parte, e lo ha deciso senza possibili ripensamenti, spetta il compito di scendere tra chi non sa e diffondere la conoscenza dell'esistenza di una possibilità. Ciò lo obbliga a stare anch'egli in mezzo alle follie del mondo: non può rifugiarsi in anticipo sull'astronave...
C'è un tempo in cui decidere di partire è ancora possibile, ed è finché l'astronave staziona sul cielo di questo pazzo mondo, e finché il pilota non decide che è ora.
Questo è un film, di molti anni fa. E' da allora che l'astronave aspetta... ogni minuto che passa avvicina il momento della partenza. Sorridiamoci su.

L'astronave di Cocoon


venerdì 30 settembre 2016

Cocoon

Nell'ultima scena del film Cocoon, un'astronave staziona nel cielo in attesa di imbarcare quelli, tra i vecchi ringiovaniti dall'"acqua di vita" della piscina in cui gli alieni avevano deposto i propri "bozzoli", che hanno deciso di trasferirsi nel mondo nuovo in cui saranno sani, giovani e immortali.
Alcuni salgono le scalette dell'astronave, e altri no: hanno deciso di rimanere e di seguire il proprio destino biologico accettando l'invecchiamento e la morte.
In effetti, trasferirsi altrove significa sovvertire tale destino, introdurre un nuovo elemento nel proprio DNA, essere pionieri di una nuova razza umana.
Gli spettatori possono condividere e comprendere i sentimenti sia di coloro che partono, sia di quelli che restano; in verità, si tratta di una scelta, volontaria, ed entrambi i gruppi hanno buone ragioni per farla; nessuno è in grado di giudicare se sia più giusto restare o partire. Solo, la scelta è necessaria, giacché l'astronave sta per partire.
Ora, chi volesse obbligare chi resta ad assumere "acqua di vita", non farebbe il suo bene; e anzi produrrebbe danni gravi. A chi parte, invece, l'"acqua di vita" non solo è indispensabile, ma anche produttrice di miracolose guarigioni, del corpo e dello spirito.
La ragione per cui alcune cure, sia del corpo che dello spirito, sono diventate oggi inefficaci o, come si diceva al seminario sulla "Vigliacca paura" , persino controproducenti, è forse che esse vorrebbero a forza proporsi a quelli che... hanno deciso di restare.
Di fatto, la sensazione è oggi che l'umanità sia tutta ai piedi della scaletta dell'astronave e che si stia interrogando sul salirla o meno; nel film, a scegliere erano i vecchi che, tutti, avevano già assaggiato l'"acqua di vita" e che sceglievano consapevolmente, ma forse la maggioranza dell'umanità di cui parliamo non la ha neanche mai assaggiata e non sa quindi spiegarsi la ragione della presenza dell'astronave, né sa che gli si chiede di scegliere e tra che cosa.
La questione è che la non scelta (a cui questa ignoranza conduce) equivale - di fatto -  alla scelta di rimanere.

La piscina di Cocoon, acqua di vita


sabato 24 settembre 2016

Narrazioni

- "So di un tale, molto povero, che è anche perseguitato dalla sfortuna. Un giorno uscì per andare a raggranellare qualche soldo, ma fu colto da un tale temporale che si inzuppò tutto. Per ripararsi entrò in un negozio e sentendosi in imbarazzo comprò una cosa qualsiasi: un biglietto della lotteria. Ebbene, quel biglietto vinse un premio minore, ma sufficiente per dargli un po' di respiro; però la sua sfortuna volle che l'inzuppatura gli procurasse una polmonite e tutta la vincita se ne andò per curarla..."
- "Sì, io conosco quel tale e so di questa storia... Ma lui racconta di essere un uomo molto fortunato e di essere in grazia di Dio, tanto che non gli manca mai nulla; dice che - essendosi preso una polmonite e non avendo soldi per curarla - Dio volle che vincesse la somma giusta alla lotteria, costringendolo a comprare un biglietto che, se non fosse piovuto a dirotto, non avrebbe mai pensato di comprare..."

La differenza tra una vita felice ed una infelicissima dipende dalla narrazione che ciascuno ne fa a se stesso; così come quella che chiamiamo realtà o verità, che non è altro che il frutto della interpretazione immaginaria di ciò che è, invece, davvero Realtà e Verità, e che sta "dietro" ogni evento.
Non cesso di raccontarmi che qualcuno, prima o poi, finirà per capirlo e vorrà parlarne...

www.pholeterion.it

Narrazioni trasformanti


giovedì 22 settembre 2016

Mele

Mio nonno raccontava questa parabola a me bambino:
Veniva portato a tavolo un cesto di mele. Uno dei commensali subito afferrava la più bella, grossa, lucida e rossa. Il suo vicino, con una smorfia di insofferenza, non poteva fare a meno di biasimarlo: "Gettarsi così voracemente sulla più bella mela..."
"Perché - diceva il primo - tu, invece, cosa avresti fatto?"
"Beh, ne avrei scelta una più piccola, mediocre, meno appariscente..."
"Ebbene, perché ti lamenti? Te le ho lasciate tutte."

Ogni mela è frutto di un seme, e ne ha altri al suo interno. Ed ogni mela ha il dovere di sviluppare le potenzialità del seme da cui ha avuto origine fino ad esprimerle tutte. Con ciò essa sarà la mela perfetta, l'essenza di ogni possibile mela a venire, di cui conterrà il seme ricco di tutte le potenzialità della mela assoluta.
Lo stesso è per l'uomo. Esiste l'Uomo Perfetto, anche se solo come espressione di tutte le potenzialità dell'Essere (e non dell'animale) umano. A ogni uomo spetta il dovere di realizzarle.
Si dice, in alcuni antichissimi cammini che conducono a tale realizzazione, che Dio si nutra dell'uomo, come noi delle mele; e che scelga di nutrirsi dell'uomo migliore e più realizzato, come quell'accorto commensale della mela più grossa .
C'era una esortazione, in quel cammino: rendetevi cibo buono al palato di Dio! Chi mangerà le mele piccole, stentate, poco mature ed aspre? Di solito, in passato, si davano agli animali, ed infatti sono il cibo dell'animale (e non dell'Essere) umano.



Un cesto di mele


mercoledì 14 settembre 2016

Tesori


Un tale scavava alla ricerca di tesori. Trovava qualche oggetto, mai di grande valore. Ma scavava, continuava a scavare con l’intenzione tutta tesa a fare la scoperta della sua vita.

A chi gli chiedeva quale fosse il suo lavoro, rispondeva: “Il cercatore di tesori!”

Dopo diversi anni di ricerca, vedendo dei contadini scavare un pozzo, si rese conto di aver messo a punto una tecnica di scavo molto più raffinata, capace di produrre in breve tempo buche ben più profonde.

Si offrì dunque ai contadini di farlo al loro posto. Gli chiesero quale fosse il suo lavoro; rispose: “Lo scavatore.” Accettarono,  e gli diedero un compenso pari al servizio reso.

Talmente rapido ed efficace si rivelò il suo lavoro, che la sua abilità divenne nota nella zona, e molti gli chiesero di scavare in profondità per loro. E lui si innamoro di quel lavoro che sapeva fare così bene; non cercava niente, scavava e basta, solo perché quello, ora, era il suo “lavoro”.

Si arricchì tanto da mettere insieme un tesoro, quello che aveva smesso di cercare; quello – soprattutto – che non desiderava più trovare, felice com'era del semplice scavare bene.
 
Un qualche tesoro