mercoledì 8 agosto 2018

La parola del maestro

Il maestro ha sempre ragione... è vero, ma nessuno deve essere obbligato a dargliela. Essere nel torto è un diritto umano.

martedì 7 agosto 2018

Beati i depressi

La depressione è la percezione del vuoto che si trova al centro dell'essere umano per sua specifica costituzione. L'uomo è una perla che si cristallizza attorno a un granello di sabbia che è il suo vuoto.
Questo vuoto è simile a un sole attorno al quale si condensa un cosmo, o - se visto dalla parte opposta - a un buco nero all'interno del quale esso viene riassorbito; questo vuoto è lo stesso che vi è tra le due ampolle di una clessidra, attraverso il quale scorre la sabbia... attraverso il quale dunque il contenuto di ciò che è in alto scende in basso.
Il buco vuoto è colmato dalla sabbia che scorre finché scorre; non c'è vuoto fin tanto che ciò avviene. Quando l'ampolla di sopra è vuota, la sabbia non scorre più, e il vuoto si manifesta; ed è un sgomento doloroso, la paura dell'assenza. Allora è il tempo di rovesciare la clessidra, perché ogni granello riprenda a scorrere.
La depressione è il segnale che la propria vita deve essere ribaltata: non vi è depressione se la sostanza scorre e finché lo fa...
Questo essere un vuoto che si colma al passaggio, è la funzione di tramite che ha l'uomo, per sua natura... è la funzione umana "in genere", nella sua forma organica. La percezione del vuoto è dunque in sé la scoperta della propria ragione di vita, in senso assoluto.
La domanda che il depresso si fa: che vivo a fare? (che è la domanda più seria che uno possa farsi) trova la propria risposta all'interno di se stessa.
Ma una volta che si sia - per propria fortuna - sperimentato il vuoto, se si pensa che esso possa essere colmato da qualcosa che non cada dall'alto, ma risalga dal basso, ci si sbaglia; e ci si condanna all'insopportabile percezione della propria inutilità. E' solo allora che la depressione diventa una malattia.

domenica 5 agosto 2018

Lampi

Viviamo in questo mondo come ciechi dalla nascita. Conosciamo ogni angolo di esso e ci muoviamo come se ci vedessimo, con sicurezza e precisione.
Se un lampo di luce, improvvisamente, lo illumina, non ce ne accorgiamo, perché siamo ciechi; ma alcuni scoprono, proprio in quel momento, di non essere ciechi, ma solo di ignorare di avere una vista, dato che non avevano mai avuto occasione di verificarlo prima. E quelli allora si adoperano per trasformare un lampo in una illuminazione costante, cercando l'aiuto di quanti - come loro - ci vedono. Il mondo dei ciechi va per altre strade, risponde ad altre esigenze, e non ha né bisogno, né desiderio della luce.

giovedì 2 agosto 2018

Brutti sogni

Uno degli amici che camminano con me mi ha raccontato un sogno che l'aveva visibilmente turbato, sia per il contenuto che per l'impressione di verità che gli aveva trasmesso.
Vi erano al mondo alcune persone che vestivano una sorta di saio turchino, pallide ed emaciate, dagli occhi affossati; si trattava di malati terminali. Il sognatore apparteneva a una sorta di corpo militare il cui compito era di sorvegliare queste persone, in parte per proteggerle data la loro fragilità, in parte per evitare che si incontrassero tra loro. Ogni sorvegliante si occupava di un solo malato e lo osservava da lontano con discrezione. Il motivo per il quale questi malati non dovevano incontrarsi era che tra maschi e femmine si doveva evitare che nascessero amori; se una donna infatti fosse rimasta incinta, ammesso che non fosse morta prima di partorire, il neonato sarebbe stato della stessa genìa dei genitori, dunque un morente, sebbene appena nato... il paradosso, che nel sogno si manifestava come una sorta di pericolo tormentoso nell'anima del sognatore, e che lo inquietava profondamente, era appunto che potessero nascere dei morenti, e che una sorta di mutazione genetica producesse questa nuova specie della razza umana: i morenti!
Ci siamo, insieme, sforzati di analizzare il sogno... non con l'intento di farne oggetto di psicoanalisi soggettiva, ma con quello di farne affiorare un qualche messaggio recondito oggettivo, se ci fosse stato. Abbiamo osservato come la vita organica sembri voler travalicare i limiti della morte, e come vita e morte riproducano se stesse: la vita attraverso la morte, la morte attraverso la vita. La vita organica non guarda in faccia nessuno, non le interessa la forma di vita alla quale il suo meccanismo dà luogo, ma è solo interessata a riprodurre se stessa... la vita - sembra dire il sogno - è dominata dalla paura di morire.
Ho chiesto al mio amico quale fosse - nel sogno - la posizione del sorvegliante/sognatore, in base alle emozioni che provava: mi ha detto che si sentiva inquieto, angosciato, ma che sapeva che i morenti erano ancora in minoranza rispetto all'umanità, e che provava un desiderio di protezione verso di loro che si allargava alla necessità di isolarli tra loro al fine di non perpetuare il loro dolore. Lui sorvegliava una donna e provava per lei una immensa tenerezza; comprendeva che aveva tanto bisogno d'amore, anche se non aveva speranza... Ma questo amore - terribilmente - avrebbe prodotto un dolore connaturato con la vita stessa... Ricordava, il mio amico, di aver sentito dire recentemente da un medico che curava dei malati gravi che quello che non si può curare, si può però cronicizzare... quindi - diceva il medico - si è di molto allungata la speranza di vita. "Forse - aggiungeva - sono rimasto colpito da questa frase..."

mercoledì 1 agosto 2018

P.I.P. Prodotto Interno Pulito

Un tale, avendo ricevuto in eredità da suo padre un sacco con della semenza, un campo e gli insegnamenti dell’opera, prese a coltivare del grano.
Quanto aveva ricevuto era tutto molto buono, sicché ottenne dieci misure di grano; poiché per vivere a lui ne serviva una sola, tutti gli consigliavano di vendere le restanti: se avesse trovato compratori, sarebbe in breve diventato ricco. Ma il contadino aveva quello che gli serviva e allora fece sapere che avrebbe distribuito in dono le altre ai primi nove poveri che si fossero presentati. Vennero, e lui donò, sfidando la rabbia di altri contadini che perdevano così dei potenziali clienti. Ma il contadino disse: “Io dono a quelli che non hanno abbastanza denaro per comprare la vostra merce, quindi non vi tolgo niente.”
Dopo alcune stagioni, uno di quelli che riceveva una misura sentì il bisogno di sdebitarsi in qualche modo, e andò dal contadino:
-“Vorrei poter contraccambiare i tuoi doni, e siccome non ho niente altro che quello che tu mi doni,  ho pensato di venire a lavorare con te, in modo che tu possa faticare la metà, per ottenere le dieci misure.”
-“ Se tu vieni, io non voglio faticare di meno, ma sarò contento perché produrremo venti misure.”
Così si fece, e, tolte le due misure che servivano ai due per sopravvivere, ne restarono diciotto, che vennero distribuite. Tra i diciotto beneficiari, due chiesero di partecipare al lavoro, non sembrando loro giusto di vivere senza dar nulla in cambio. Così si ebbero quaranta misure e trentasei beneficiari, tra i quali alcuni chiesero di lavorare…

lunedì 30 luglio 2018

Narcisismi secondari

E' noto lo sforzo che la psicologia clinica e la psichiatria fanno per codificare alcuni comportamenti umani al fine di stabilire cosa sia patologico oppure no; e facilitare con ciò le diagnosi degli addetti ai lavori sollevandoli dall'onere di usare se stessi come strumenti di risonanza, cosa che - si teme - potrebbe togliere oggettività al giudizio (clinico).
Comunque, ogni patologia appare - da queste classificazioni - come relativa alla sfera relazionale degli individui umani, in quanto le valutazioni si evincono appunto dai comportamenti agiti in quella sfera. Anche l'assenza di relazioni è però considerata patologica, come avviene ad esempio nella catatonia o nell'autismo.
Ma, in generale, ogni nevrosi è una fissazione a un comportamento strategico infantile che si conserva - nell'illusione di mantenere la propria efficacia - anche in età adulta; naturalmente si rivela come una patologia nel momento in cui chi ne soffre rifiuta di rinunciare a quella strategia e di adottarne altre più realistiche ed efficaci.
Tra queste forme infantili una delle più studiate e feconde di riflessioni è il narcisismo. Narcisista è colui che si adopera (a volte seduttivamente mostrandosi disponibile, facendo doni, ostentando reverenza, incensando...) per ottenere il favore e la simpatia di quelli a cui riconosce o attribuisce un'autorità su di sé, al fine di fare le proprie marachelle, certo a priori della benevolenza che lo sottrarrà alla punizione temuta. Così fa il bimbo che con le sue moine evita la sculacciata o il rimprovero dal genitore severo.
Il problema è che, perché questa strategia sia efficace anche in età adulta, bisognerà che il soggetto trovi sempre un qualche genitore severo da manipolare, o lo inventi se non c'è. E che le marachelle consistano in qualcosa che ogni genitore cerca di impedire al figlio: che si faccia del male.
Per cui il narcisista è colui che si fa volutamente del male e cerca di sfuggire alla punizione di chi non gliela vorrebbe infliggere, sia perché non ha questa funzione, sia perché se l'è già inflitta da sé.
Un aspetto rilevante del narcisismo patologico, è l'attaccamento abnorme proprio verso chi rifiuta o insulta o disprezza il soggetto; quanto più anzi egli è umiliato, tanto più si "attacca"... Il narcisista non ammette che non lo si possa amare, e quindi, verso chi non lo ama, ha un accanimento speciale perché desidera ottenere il rovesciamento di questa posizione. Per poi - quando lo ottiene - vendicarsi sadicamente... Schema relazionale, questo, divenuto ormai sociale, nei concetti di competitività, meritocrazia, premio,  fino a - orribile dictu - consenso democratico usato come arma di prevaricazione sui perdenti... etc.
Vi è però una forma narcisistica su cui la psicologia clinica pone la propria attenzione speciale da un paio di decenni, che è quella del ritiro, della sparizione progressiva: il soggetto scompare perché le sue aspirazioni grandiose sono tali da non poter essere dichiarate, e perché ritiene forse di non poterle realizzare o forse che gli siano dovute, ma che non gli vengano riconosciute come - secondo lui - dovrebbe essere.
Come dire che l'umiltà, e "il ritiro nei luoghi segreti che solo i saggi conoscono" non sarebbe altro che una copertura di un egocentrismo patologicamente percepito come grandioso, e non il rifiuto di aderire ad esso, elevatosi ormai a forma sociale di relazione usuale!
Come si vede, l'ansia di classificare giunge al paradosso di definire "patologico" ogni comportamento, e il suo esatto contrario... il che non aiuta certo a capire la complessità umana.
Se però il mondo relazionale non fosse visto orizzontalmente come fatto di relazioni tra uomini, ma fosse percepito verticalmente, come relazione tra l'unicità che ciascuno è ciò che a cui questo essere (solitario ma solo nel senso che si sente uno e finito in sé) può aspirare, realizzando quel che è in forma potenziale, forse il giudizio su ciò che è patologico e ciò che non lo è muterebbe drasticamente. Ma certo dovrebbe mutare la percezione del fine stesso della vita umana, che acquisterebbe una sua peculiarità specifica rispetto al concetto più generico di vita. Dovrebbe cioè verificarsi una salto di coscienza tale da rendere chiaro all'essere umano che egli è uscito dai processi naturali costrittivi, sebbene, come i molti alberi mistici, egli affondi proprio in essi le proprie radici.
Se la valutazione della maturità sopraggiunta di tale percezione fosse il discrimine non tra la patologia e la sanità, ma tra due caratteristiche (o... razze) umane distinte, si potrebbe applicare il DSM a quanti non si attribuiscono capacità evolutive superiori; e altri parametri a chi sa di averle e intende coltivarle... questi secondi, certo, al DSM risulterebbero gravemente malati...😉


venerdì 27 luglio 2018

Reificazione

La parola "reificazione", che vuol dire  semplicemente "trasformazione in cosa", assume però diversi significati e valori nei diversi contesti culturali in cui viene usata, ed ha sempre un accento negativo.
Nel significato più letterario essa descrive uno stato vicino all'annichilimento con tracce di disperato esistenzialismo, descritto come: "una condizione psicoaffettiva di totale mancanza di empatia, di completa indifferenza e rassegnazione, che spinge coloro che ne sono affetti a trattare se stessi e gli altri come se fossero cose o, comunque, entità prive di qualsiasi significato non materiale".
Si comprende come usare l'espressione "esserne affetti" lasci trapelare l'idea che si tratti di una grave malattia: che consiste forse nel pensare che nessuno abbia altro valore che quello materiale? Se è così, è una malattia sociale, endemica...
Ma qui, chi scrive, vorrebbe riconsiderare il concetto alla luce di ulteriori riflessioni, ed in particolare a partire da una espressione tratta dal Vangelo di Tommaso che recita: “Se vi chiederanno qual è il segno di Dio in voi, rispondete: il movimento e la quiete.
In questa chiave si nota come il servitore che abbia fatto già un lungo cammino, raggiunge la consapevolezza della inutilità del proprio movimento, mentre scopre la grandezza della Potenza che, attraversandolo, entra, per la porta che egli è, nella Vita, producendone Essa il movimento. Questa constatazione, in questo caso, è uno stato raggiunto, non un morbo.
Egli percepisce ogni movimento volontario suo proprio come una interferenza rispetto alla Potenza; e, coerentemente con la sua funzione di servitore, desidera l’immobilità, al fine di non interferire.
Per la mentalità umana, ciò che distingue i viventi dalle cose è l’animazione, ossia il movimento: ciò che si muove è animato, dunque ha un'anima. Questa mentalità tende ad attribuire la definizione di “cosa” a ciò che è fermo, anche se è vivo; così un albero, pur se vivente, è piuttosto una cosa, e ancor di più lo è una roccia, mentre non lo sono un verme o un’ameba.
In realtà, tutto è in moto, ma la mente umana, che si costruisce sopra le esperienze sensoriali, non percepisce il moto al di sotto di una certa soglia di lentezza. Sebbene un geologo possa descrivervi i grandi mutamenti di una montagna nel corso dei millenni, alla coscienza umana essa apparirà, nel tempo di una vita, immobile e immutabile.
Il servitore dunque aspira così ad una sorta di “cosificazione”, che non è morte, ma anzi vita eterna, una eterna stabilità e permanenza. Cosa singolare giacché la vita è movimento, ma coerente perché, se anche una montagna è in movimento, essa è viva ma in quiete. Così la compresenza di movimento e quiete è raggiunta, l'equilibrio prefetto tra opposti complementari, ove, secondo Tommaso, si trova Dio.
Quando Francesco cantava le lodi delle cose (Sole, Luna, Acqua, Fuoco...), cantava le lodi delle potenze immobili; lo faceva chiamandole sorelle e fratelli, in quanto creature, figlie dello stesso Creatore di cui egli si sentiva figlio a propria volta. Con ciò Francesco riconosceva, in termini macroscopici (dal punto di vista della coscienza), una identità dell’uomo con la Natura che è la stessa che anima oggi l’ecologia; ma esotericamente, e al di là forse dell’intenzione di Francesco, egli dichiarava che le Potenze sono Esseri, e che questi Esseri sono eternamente compresenti all'uomo che evolve nella loro stabilità e permanenza. Esseri “cosificati”.
Questa percezione conduce forse a una visione animistica della Natura (molto condannata in generale nella sensibilità maggioritaria); epperò l’animismo è la migliore espressione della religiosità spontanea e naturale. Ma qui l’affermazione non è – come nell’animismo – che ogni Cosa ha un'anima, ma che le Presenze dell’Essere si manifestano come Cose… differenza troppo sottile per avere un qualche valore alla percezione comune degli umani sensi.
La “cosificazione” del servitore è la ragione della mummificazione del Faraone; e della auto-mummificazione in vita di alcuni monaci buddhisti o induisti, in cui il passaggio tra la vita e la morte risulta tanto sfumato da non potere essere determinato: in entrambi i casi i Viventi si consegnano all’eternità (relativa) diventando “cose”, e lo fanno sopprimendo il movimento ed essiccando i tessuti per eliminare persino il palpito che contraddistingue la vitalità. Diventano statue, oggetti; di culto, ma non in quanto simboli di qualcosa, ma in quanto veicoli, stabilmente posti, porte, attraverso le quali l'Essenza del mummificato (la cui qualità è il servizio) possa passare... forse in entrambi le direzioni possibili. Statue viventi, come se ne trovavano in Egitto ancora qualche decennio fa, e forse ancora.
Reificato, il servitore diventa una strumento di Dio e un passaggio verso di Lui, così come lo è una Piramide: cosa capace di attrarre e veicolare in forma concentrata e orientata l’energia spirituale su una comunità (e viceversa), come fa il rubino attraverso il quale la luce diventa laser. Laser significa: amplificazione luminosa attraverso l’emissione stimolata di radiazioni. Uno... stargate.
Nel servitore esperto può sopravvenire una fase in cui la reificazione è uno stato di coscienza, tanto intimo da non mostrarsi fuori tranne che per una sorta di pesantezza di movimento...