venerdì 13 luglio 2018

Migliorare la qualità dell'esistenza umana

Il viandante che si ponga su quella che viene definita "la Via" (qualunque cosa questo termine voglia, in quel contesto, significare) è vittima- in partenza - di un equivoco, che una eventuale guida non può correggere, né deve. L’equivoco è infatti sostenuto dalla stessa condizione umana in cui il viandante è calato.
L’equivoco è appunto che sia questa condizione umana la cosa da migliorare, in quanto fonte di sofferenza; ed inoltre (cadendo in un ragionamento fallace come soltanto i ragionamenti logici sanno essere), che tale condizione dipenda da fattori esterni che è necessario modificare, o al più dalla reazione errata a tali fattori.
È un equivoco che non può essere corretto perché nasce dallo stato di coscienza che – per natura – l’uomo riceve in dotazione, di serie, per così dire: una coscienza utile ad indagare il rapporto dell’individuo cui appartiene con il mondo esterno, arricchita progressivamente dall'esperienza di esso che l’individuo fa e che costituisce una base di confronto con le successive, in modo che queste ultime possano essere definite positive o negative, secondo la tecnica del confronto cui la dualità dell’uomo “di serie” risponde.  Di questa coscienza soltanto l’uomo dispone, ed essa produce quel che può produrre, di necessità.
Si tratta dunque piuttosto di lasciare che si affacci e si riveli a se stessa una nuova coscienza (una sovra-coscienza), dapprima parallela e poi alternativa alla prima, che si sarà manifestata intanto fallace, sebbene utile al mimetismo mondano.
Il viandante che si aggiri nel bosco di notte, annaspando tra i rami, senza poter riconoscere un sentiero e prendendo intanto qualche frustata in faccia dagli arbusti, si augura che venga presto l’alba; a volte, pur in pieno giorno, il bosco è però così fitto che la luce non riesce a penetrarvi, e la situazione non cambia. È normale che si trovi spaventato, disperato, in preda a quel panico che nasce dal non sapere che fare non vedendo vie d’uscita; e certo non penserà minimamente che il bosco non esista, e sia solo una proiezione della coscienza data di serie, lei sì oscurata – di serie – affinché la verità venga preservata.
Il meraviglioso irrompe quando, chiusi gli occhi da una stanchezza strana, eccessiva, uno sfinimento prodotto più dalla paura forse che dalla frustrazione del procedere in circolo inutilmente, dietro le palpebre appare un bagliore che diventa pian piano immagine, e che si compone come panorama, denso di profondità possibili… una pianura sconfinata, gioiosamente abitata, pullulante di vita e di luce. Un sogno? No, il Vero! Ché il sogno era il bosco, un incubo dal quale il viandante si è risvegliato. È la nuova coscienza che si disvela come l’aprirsi di un fiore bianco dalle profondità del cuore diventato cervello…
Un Lavoro ben fatto produce di queste visioni: visioni del Vero, spesso accompagnate dalle emozioni che anche il sogno, sempre, reca con sé, particolarmente vivaci, a volte violente. Il sogno comune, per l’uomo, è l’annuncio del suo possedere coscienze sopite; ma questa visione non è un sogno, non racconta di niente che sia passato, ma di qualcosa che verrà, e che anzi è; parallelamente a ciò che il visionario crede che sia. Coscienze che non si sapeva di possedere - in questo caso -  perché non si possedevano, sebbene si fosse predisposti a riceverle, ma che sono state date, miracolosamente, meravigliosamente.
Solo allora il viandante esce dall'equivoco necessario e viene travolto dall'irruzione del meraviglioso.
Non cambia la sua esistenza: gli si rivela la sua Essenza che allora diventa co-creatrice della Realtà. 
Delusi però resteranno - purtroppo - quelli che non sono riusciti ad uscire dall'equivoco.

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