La guarigione, che è normalmente considerata come il ripristino della condizione precedente all'emergere del disagio, richiede una analisi attenta delle ragioni che l'hanno generato, e allora si parla di traumi (più o meno infantili) e ci si riferisce quindi alle psico-dinamiche particolarmente nei periodi dell'età evolutiva: si cercano cause per trovare la cura, che in genere, secondo l'idea classica di psicoterapia, consiste nell'abreazione, cioè nel riemergere liberatorio dei contenuti affettivi ed emozionali del trauma, rimossi nell'inconscio. Nonostante il passare degli anni (120 circa dalla formulazione di questa idea), e l'evolversi del pensiero relativo, sostanzialmente il fatto che ognuno serbi nelle profondità del sé oscure cicatrici il cui dolore è ancora attivo, permane.
L'altra posizione, quella "evolutiva" è invece più attenta allo status quo, e considera il "passato" in genere come irrilevante in funzione del superamento del disagio. E' un modo più primitivo (questa psicoterapia è millenaria) di considerare il problema, più vicino forse a certi credi animistici per i quali il malato era posseduto da spiriti maligni... nel senso (e solo in quel senso) che il disagio /spirito maligno è attivo nel qui e ora e nel qui e ora va scovato e affrontato. Per chi adotta questa posizione conoscitiva, il disagio è una opportunità - per quanto dolorosa - in quanto sintomo di una crisi o conflitto che deve essere risolto, e lo spirito non è dunque affatto maligno, ma al contrario un benefico coercitore a non permanere in una situazione mortifera.
Purtroppo - come chi scrive ha avuto modo di rimarcare più volte - lo psicoterapeuta ha il dovere di impegnarsi per corrispondere alle richieste del paziente, e se queste richieste sono di guarigione (nel senso poco fa attribuito al termine), egli deve rinunciare al progetto evolutivo, rispettosamente.
Ora, sono assai pochi coloro che essendo stati bene, e stando male nell'attuale, sappiano aspirare a un bene ulteriore che non conoscono rispetto a un bene noto, sebbene da ritrovare mediante una sorta di impossibile inversione della freccia del tempo.
Chi si volesse dunque proporre come adiuvatore nei processi evolutivi, troverebbe pochi "clienti" e proverebbe certo quel senso di solitudine che lo stato di quasi isolamento in cui si trova non può che generare; d'altronde questa funzione di psicopompo (1) che egli si impone contiene in sé quell'umiltà profonda che contraddistingue quelli che i problemi non li risolvono, ma li pongono... e i problemi - come diceva un illustre psichiatra - sono tali per definizione solo quando hanno una soluzione: chi si trova in una situazione dolorosa di conflitto e in crisi esistenziale, si sente in un vicolo cieco, non ha soluzioni... quindi proporre il problema, è proporre una via d'uscita, la soluzione, che c'è! anche se dovrà essere il paziente a trovarla.
Eppure lo psicopompo non è un Maestro, ma un uomo esperto e dotato di conoscenze sufficienti a guidare altri uomini meno esperti; al più è uno che consegna tali uomini (se ha una strepitoso successo) al Maestro. Ripetiamo: il Maestro non è un uomo, e, al più, un brav'uomo esperto, saggio, sincero e disinteressato, può aspirare all'appellativo di Mentore o - si direbbe oggi - di "counselor esistenziale".
Aggiungeremo - in camera caritatis - che il Maestro di cui si parla non ha alcuna delle qualità umane, umanistiche ed umanitarie che sono richieste a un Mentore, soprattutto il dubbio... sia detto con un sorriso.
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(1) Termine che è usato qui in senso strettamente etimologico di "conduttore d'anime".