giovedì 8 giugno 2017

Dei miracoli

C'è chi, sapientemente, ha detto che "il miracolo è come il sorgere del sole: esso preesiste nell'ordine divino e si manifesta soltanto in funzione di un'apertura umana; così il sole appare perché la terra si volge verso di lui, mentre in realtà è immobile rispetto alla terra. La natura è simile a un velo mobile davanti a una soprannatura immobile". (1)
Per questo il miracolo, che è permanente, è invisibile e quindi per definizione non manifesto, dunque inattuato, finché il possibile miracolato non gli si volga e lo veda. L'attuarsi del miracolo, ancora una volta, è una questione di coscienza.
Si dice che esso si realizzi quando il credente ha fede: e ciò è molto vero quanto molto incompreso. La fede è una condizione - anch'essa della coscienza - per la quale ogni cosa è percepita nella sua contemporaneità e non nella sua sequenza temporale, cosicché quanto si vede realizzabile (in futuro) è con questa visione reso realizzato (nel presente); la fede non è speranza, è visione. E la visione non è senso della vista ma percezione istantanea e permanente del tutto. Quindi è da distinguere chi ha fiducia da chi ha fede, poiché la prima cosa è un sentimento, la seconda una facoltà che - giustamente - viene dichiarata "dono di Dio".
Fare miracoli è volgere lo sguardo all'Essenziale, osservarne un aspetto e con ciò realizzarne la qualità nel manifestato: una cosa simile a guardare Gesù senza riconoscere il Cristo; o, all'opposto, vedere il Cristo attraverso la velatura trasparente di Gesù.

La fine di un'epoca è contrassegnata dall'ispessimento del velo, tale da rendere impossibile attraversarlo con lo sguardo perché diventato materia pesante; e quel velo è, lo ripetiamo, coscienza. Impossibili dunque i miracoli, impossibile vedere la soprannatura immobile...
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(1) F. Schuon

Piazza dei Miracoli


martedì 6 giugno 2017

Singolarità

L'uomo che possa autodefinirsi individuo, e dunque "singolarità", si renda consapevole di essere - perciò - una stella collassata.

lunedì 5 giugno 2017

Buchi (neri)

Le poche frasi che seguono sono estrapolate dal testo di un paio di lezioni divulgative tenute da Stephen Hawking per la BBC, con l'intervento di un giornalista (che qui riporto in blu) che contribuisce a chiarirne alcuni punti.
Chiunque abbia avuto la pazienza di frequentarmi e si sia convinto che la Conoscenza sia avvicinabile per via analogica molto meglio che per via analitica, vi troverà forse degli spunti di riflessione non sulla fisica teorica ma sulla propria esistenza contemporanea e su alcuni dei temi più radicali che turbano le coscienze incapaci di comprendere i mutamenti in corso.

"...una stella sferica, simmetrica e uniforme sarebbe destinata a contrarsi fino a ridursi a un singolo punto di densità infinita. Questo punto viene chiamato singolarità... Una singolarità è il risultato a cui si giunge quando una stella gigante si contrae in un punto incredibilmente piccolo... non si riferisce solo alla fine di una stella, ma anche a un'idea molto più fondamentale riguardante il punto d'inizio della formazione dell'intero universo."

"Anche se durante la vostra caduta in un buco nero non notereste nulla di particolare, un osservatore remoto non vi vedrebbe mai attraverso l'orizzonte degli eventi. Ai suoi occhi, il vostro moto subirà un progressivo rallentamento e il vostro corpo sembrerà librarsi appena sopra l'orizzonte. La vostra immagine si farà via via più debole e più rossa finché non sparirete del tutto alla vista; a quel punto, per quanto riguarda il mondo esterno, sarete perduti per sempre."

"...l'intero spazio è pieno di coppie di particelle e antiparticelle virtuali, che continuano a materializzarsi a due a due per poi separarsi e tornare infine a unirsi annichilendosi a vicenda.
[...] Ora, in presenza di un buco nero, un membro di una coppia... potrebbe cadere nel buco, lasciando così l'altro membro senza il partner necessario per la propria annichilazione. La particella (o antiparticella) rimasta sola potrebbe a sua volta cadere nel buco nero dopo la sua compagna, ma potrebbe anche riuscire a fuggire allontanandosi nello spazio esterno, dove apparirebbe come una radiazione emessa dal buco nero."

"... è possibile cadere in un buco nero per poi uscire in un altro universo? ... ciò potrebbe essere possibile... non si potrebbe però tornare nel nostro universo... Il messaggio che vorrei lasciare è che i buchi neri... non sono quelle prigioni eterne che credevamo. Le cose possono uscire da un buco nero sia in questo universo sia - magari - in un altro. Così se vi sentite in un buco nero, non vi arrendete: c'è sempre una via d'uscita!"

Infine, tratta dalla postfazione di M. Cattaneo, direttore de "Le Scienze":
"All'inizio del 2016, [...]  l'11 Febbraio le collaborazione LIGO e Virgo hanno annunciato la prima osservazione diretta delle onde gravitazionali previste dalla relatività generale. Il segnale misurato è stato prodotto dalla fusione di due buchi neri rispettivamente di 36 e 29 masse solari che cadevano l'uno verso l'altro in una traiettoria a spirale. E' stata dunque anche la prima osservazione di un sistema di buchi neri."

Vi sono molti altri spunti di riflessione, e molte argomentazioni che chiariscono come si giunge alla formulazione delle frasi che ho estratto, ma li lascio scovare a chi vorrà leggere questo facile librettino.



sabato 13 maggio 2017

Sulle regole

E' noto che nelle comunità monastiche di ogni genere vi sia qualcosa che si chiama Regola. Spesso scritta e approvata dalle autorità ecclesiastiche, in altri casi essa è, meno formalmente, legata a una sorta di codice di onore che i partecipanti a un conclave stabiliscono consensualmente come strumento attraverso il quale praticare la propria Via e rispettare gli altri compagni che con loro la condividono.
Al di là delle formalità e dei formalismi rituali, e al di là dei regolamenti sociali e polizieschi, questa speciale Regola si fonda sul rispetto di sé, degli altri, e della Cosa che insieme si fa; contrariamente alle leggi poliziesche, non si dovrebbe trovare quindi, tra i liberi contraenti, alcuno che desideri aggirare o addirittura violare tale Regola, per il semplice motivo che - mentre per le leggi poliziesche chi lo fa e viene scoperto (cosa questa non così automatica) viene punito in modo coercitivo e vendicativo - per i violatori della Regola monastica d'onore la pena è l'inutilità di ogni sforzo fatto nella direzione della spiritualità che ci si era ripromessi di raggiungere. Per chi è sincero in questo suo desiderio, è la pena più dura, assoluta e impietosa che si possa ricevere; ed è automatica, nel senso che non richiede di venire scoperti, e quindi non prevede alcuna indagine, né giudici né alcun detective.
In che cosa consiste una Regola, dunque? In alcuni impegni ed accorgimenti, di solito ritmicamente ripetuti, nella costanza, nel dare seguito alla parola data, nell'azione che segue senza fallo l'intenzione dichiarata. Nel rispetto, poi (questo fondamentale) di ogni altro contraente e dell'impegno che questi ha preso. Non vi sono sotterfugi, bugiòle, scuse che tengano. La Regola non è aggirabile né modificabile, né piegabile alle proprie esigenze, una volta che la si sia abbracciata. Farlo è starne fuori, il che equivale a star fuori da quella comunità, che ciò sia apertamente dichiarato da qualcuno, oppure no. I fatti, lo dichiarano.
Se c'è un antico cipresso in un giardino, e vi si pianta accanto un giunco nel desiderio che i due alberi si fondano in una sola creatura (che è in fondo la finalità di una comunità spirituale), è il giunco che deve piegarsi attorno al cipresso, ché il cipresso non può (né deve!) farlo. Chiedere e credere che il cipresso si pieghi attorno al giunco è follia, pretesa assurda, arroganza e totale incomprensione di come stiano di fatto le cose. Cosa fa la Regola? Dice come piegare il giunco attorno al cipresso, ne indica il modo migliore e più rapido e diretto.
Chi comprende questo fatto si pone con questo in una sorta di élite che è fatta di gente d'onore, gente seria, che rispetta se stessa e gli altri, che si muove sicura e senza deviazioni verso l'obiettivo che si è data mentre intorno gli altri si agitano in uno spettacolo grottesco improntato al motto "io speriamo che me la cavo", e lo fanno sperando di non venire scoperti. Persone, queste, che il saggio osserva con un sorriso tuttavia di benevolenza compassionevole, ché di meglio non sanno fare.
Chiedo non molto, chiedo solo che la Regola sia rispettata: quella vera, eterna che nessun parlamento ha mai potuto scrivere. Chiedo di intrattenermi solo con gente d'onore, che liberamente la rispetti senza alcuna deroga, gente di cui possa fidarmi senza dubbio alcuno.


Regola che non si usa più usare


sabato 29 aprile 2017

Del dolore e della pace

La storia di ogni uomo è contrassegnata da episodi dolorosi.
Alcuni sono improvvisi rovesci, drammi istantanei; altri sono sottili, progressivi, incessanti dolori che si mantengono sotto la soglia della sopportabilità e che distruggono (ma inesorabilmente) solo alla lunga.
Nessun uomo maturo può dire di non aver provato, e di non essere stato provato, da uno o più dolori.
Alcuni però si identificano con il proprio dolore, ne fanno un totem, un idolo a cui sacrificare il resto della propria vita e una giustificazione per ogni fallimento o rinuncia presente e a venire.
Altri guardano avanti, come l'escursionista solo: avanza lungo un sentiero pericoloso e irto, avendo sulle spalle lo zaino del proprio dolore. Certo, avanzerebbe più spedito se non portasse pesi, ma, giunto in cima, il contenuto di quella zaino sarà svuotato, conterrà anzi il pasto del riposo (ma come?), e il ritorno sarà leggero.
Il dolore va attraversato, non idolatrato né respinto.
Perché l'umanità di oggi è così intrisa di dolore che dispera di attraversarlo, e richiede una sola cosa: non sentirlo. Si irrigidisce e si ripiega per resistergli meglio; o conduce la propria dolorosa vita come cercando di renderla un anestetico, che alla lunga intossica e aggiunge dolore a dolore. Non si è mai sentito che il dolore anestetizzi dal dolore, a meno che non ce se ne procuri uno più forte. E così molti fanno.
Vi è molto dolore inutilmente procurato, ma il dolore che ha maggior peso e senso è quello che proviene dalla lotta contro se stessi.
Ciò perché, mentre la causa del dolore non è quasi mai permanente, la reazione a tale causa può protrarsi perché la si tiene in vita e la si alimenta, o non si riesce ad allontanarsi da essa. Sono quei fantasmi di cui si dice che non riescano a trovare la luce e rimangano intrappolati tra i vivi.
Chi lotta contro se stesso ha però - lui solo, non l'anestetizzato - una grande possibilità: incontra fatalmente un luogo dell'anima, un punto, in cui si riconosce impotente, o vinto, privo di mezzi per superare se stesso (come potrebbe essere diversamente?). In quel punto egli si arrende, davvero, e si lascia inondare dal dolore contro il quale aveva creduto di combattere. In quel momento può accadere un miracolo, e cioè che il cercatore di pace venga invece trovato.
E il miracolo più grande è che egli si rende conto che il dolore inutile e la ricerca vana di pace, la lotta perduta contro se stesso, sono stati una Necessità per trovare quel punto, e il contrario dell'inutile: sono stati una grande vittoria. E si sente un prescelto, un fortunato.
Purtroppo alcuni di questi possibili fortunati, si fermano un attimo prima di arrendersi, cioè non si arrendono affatto, ma voltano le spalle al dolore rabbiosamente perché ritengono che gli sforzi siano improduttivi. Si attendono "certi" risultati e rifiutano quindi la loro stessa impossibilità di ottenerli, cosa che è invece "il Risultato".
La vittoria è nella sconfitta, ma non lo sapranno mai.


Zaino


domenica 23 aprile 2017

Umanità e Spiritualità

Nella condizione in cui la sola ricchezza posseduta è l'immondizia, cioè tutto quello che si era creduto non servisse e ora ci sommerge, è naturale che alcuni inganni vengano svelati, ed è naturale che si verifichino all'opposto alcune allucinazioni.
Gli scarti della nostra personalità, le parti brutte che non ci piacciono e che nascondiamo persino a noi stessi, sotto lo zerbino dello nostre maschere, diventano le sole che ci contraddistinguono come Me. Le sole risorse.
Queste parti, affiorano e diventano ciò con cui - soltanto -  ci possiamo relazionare con gli altri, avendo esse soffocato e seppellito quelle "belle". Per cui le nostre relazioni divengono belluine, rapaci, predatorie e ferine.
In questa condizione si produce inevitabilmente questa allucinazione: quando l'uomo è ricco di umanità (intesa come un relazionarsi reciproco e consonante, armonico e solidale), allora guarda oltre e si chiede quale sia la spiritualità che gli compete e alla quale possa accedere come dimensione sovra-umana, come cioè egli possa superare se stesso; ma quando l'umanità è assente, è normale che sia proprio l'umanità ad essere la sola sfera cui può aspirare la belva.
Così oggi molti confondono la spiritualità con l'umanità, considerando "spirituale" il buon sentimento che, nell'uomo, lo portava spontaneamente ad aiutare chi soffre o a rialzare chi cade, o l'attitudine contemplativa che ci faceva amare un tramonto o un bambino.
Non è così, occorre saperlo: questo è solo umano.

Bambini al tramonto. Altri, forse, all'alba.


sabato 22 aprile 2017

Immondizia

Nello Sri Lanka, il 15 aprile scorso, una montagna di rifiuti alta 91 metri si è abbattuta su una baraccopoli uccidendo 19 persone.
Il 21 aprile un documentario Rai sulla spazzatura ha illustrato come sia ormai chiara al mondo scientifico l'insostenibilità della produzione di rifiuti, che potrà, a seconda delle interpretazioni dar luogo, entro un centinaio d'anni o due, all'estinzione della razza umana, sepolta, come nello Sri Lanka, dalla propria immondizia. Uno degli scenari possibili è questa estinzione tout court, l'altra è che, come avvenne nel lontano passato della storia del nostro Pianeta, l'inquinamento produca rivoluzioni nel metabolismo stesso della natura. Avvenne che nacque l'ossigeno, uccidendo le primitive forme di vita che non lo tolleravano e che erano nate nella sua assenza, ma ciò produsse la nascita delle specie attuali tra cui l'uomo. Quindi, alcuni scienziati, quelli ottimisti, ritengono che i batteri, capaci di adattarsi rapidamente, alla estinzione dell'umanità, possano generare altre forme di vita più alte ed evolute a partire dalla precedente rovina.
Naturalmente, tra le righe, il documentario trova il modo di far notare come il consumismo (e con esso ogni forma economica e politica che ne deriva o che lo sorregge) si estinguerà avendo portato a morte i consumatori. Chi vive nelle vicinanza delle discariche (una in Ghana in particolare) ha una speranza di vita non superiore ai trent'anni, e i 13nni sono già così avvelenati da aver già prodotto danni organici irreversibili, anche al cervello.
Questo è lo stato dell'umanità che "fa la differenziata", e anche finta di niente.
Ma al di là della cronaca, occorre sempre estrapolare il significato metaforico degli avvenimenti, ovvero il riverbero che essi hanno sulle coscienze individuali: ho dovuto ricevere gli aspri rimbrotti di due coniugi anziani perché avevo tentato di gettare un pezzo di carta nel "loro cassonetto"; e l'affermazione drastica di una vicina che sostiene di avere il diritto di tenere l'immondizia fuor di casa sua mettendola davanti alla mia porta. Nel primo caso si nota un'affezione all'immondizia che, alla fine, si manifesta come l'unica cosa che si ha e quindi l'unica cosa da difendere; nella seconda il tentativo di gettare l'immondizia che si produce (l'uomo è un sistema dissipativo) addosso agli altri nell'illusione pacchiana di essersene liberati.
Cose queste, entrambe, che si mostrano evidenti anche sul piano morale e caratterizzano le relazioni sociali di questa fase terminale dell'umanità. Relazioni ferine, dato che l'umanità (intesa come sentimento di solidarietà umana e di mutuo sostegno) è un ricordo. Se all'Umanità (razza umana) si sottrae l'umanità (solidarietà) si ottiene un prodotto simile al caffè decaffeinato: una cosa che non è più ciò che era, ma che si vende come se lo fosse, e a prezzo maggiorato.

Panorama della Sri Lanka