sabato 29 aprile 2017

Del dolore e della pace

La storia di ogni uomo è contrassegnata da episodi dolorosi.
Alcuni sono improvvisi rovesci, drammi istantanei; altri sono sottili, progressivi, incessanti dolori che si mantengono sotto la soglia della sopportabilità e che distruggono (ma inesorabilmente) solo alla lunga.
Nessun uomo maturo può dire di non aver provato, e di non essere stato provato, da uno o più dolori.
Alcuni però si identificano con il proprio dolore, ne fanno un totem, un idolo a cui sacrificare il resto della propria vita e una giustificazione per ogni fallimento o rinuncia presente e a venire.
Altri guardano avanti, come l'escursionista solo: avanza lungo un sentiero pericoloso e irto, avendo sulle spalle lo zaino del proprio dolore. Certo, avanzerebbe più spedito se non portasse pesi, ma, giunto in cima, il contenuto di quella zaino sarà svuotato, conterrà anzi il pasto del riposo (ma come?), e il ritorno sarà leggero.
Il dolore va attraversato, non idolatrato né respinto.
Perché l'umanità di oggi è così intrisa di dolore che dispera di attraversarlo, e richiede una sola cosa: non sentirlo. Si irrigidisce e si ripiega per resistergli meglio; o conduce la propria dolorosa vita come cercando di renderla un anestetico, che alla lunga intossica e aggiunge dolore a dolore. Non si è mai sentito che il dolore anestetizzi dal dolore, a meno che non ce se ne procuri uno più forte. E così molti fanno.
Vi è molto dolore inutilmente procurato, ma il dolore che ha maggior peso e senso è quello che proviene dalla lotta contro se stessi.
Ciò perché, mentre la causa del dolore non è quasi mai permanente, la reazione a tale causa può protrarsi perché la si tiene in vita e la si alimenta, o non si riesce ad allontanarsi da essa. Sono quei fantasmi di cui si dice che non riescano a trovare la luce e rimangano intrappolati tra i vivi.
Chi lotta contro se stesso ha però - lui solo, non l'anestetizzato - una grande possibilità: incontra fatalmente un luogo dell'anima, un punto, in cui si riconosce impotente, o vinto, privo di mezzi per superare se stesso (come potrebbe essere diversamente?). In quel punto egli si arrende, davvero, e si lascia inondare dal dolore contro il quale aveva creduto di combattere. In quel momento può accadere un miracolo, e cioè che il cercatore di pace venga invece trovato.
E il miracolo più grande è che egli si rende conto che il dolore inutile e la ricerca vana di pace, la lotta perduta contro se stesso, sono stati una Necessità per trovare quel punto, e il contrario dell'inutile: sono stati una grande vittoria. E si sente un prescelto, un fortunato.
Purtroppo alcuni di questi possibili fortunati, si fermano un attimo prima di arrendersi, cioè non si arrendono affatto, ma voltano le spalle al dolore rabbiosamente perché ritengono che gli sforzi siano improduttivi. Si attendono "certi" risultati e rifiutano quindi la loro stessa impossibilità di ottenerli, cosa che è invece "il Risultato".
La vittoria è nella sconfitta, ma non lo sapranno mai.


Zaino


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