venerdì 4 maggio 2018

Strani Attrattori

Se una persona si sente irresistibilmente attratta da un'altra, a causa della predisposizione dei suoi apparati sensoriali, chiama questo "amore"; tuttavia, poiché l'attrazione può risultare così cogente da togliere persino la libertà di pensare ad altro, si sentirà come una belva catturata, e prenderà ad odiare il suo attrattore per questo.
Nella teoria del caos, esiste una cosa che si chiama "attrattore strano", che è (cito la Treccani) un "insieme di punti verso il quale evolve un sistema dinamico per tempi lunghi.Con sistema dinamico si intende in generale un sistema che evolve nel tempo e per il quale esiste una relazione tra gli stati nel tempo. L’evoluzione temporale di un sistema dinamico può essere rappresentata come una traiettoria nello spazio delle fasi, quest’ultimo definito come lo spazio i cui punti rappresentano tutti e soli gli stati del sistema".
Ebbene, l'uomo è (in fisica) un sistema dinamico, esattamente come è descritto qui; i suoi stati nel tempo/spazio sono le sue fasi di crescita evolutiva (incessanti), e l'attrattore strano dunque non è altro che la realizzazione del suo "destino", non in quanto fato, ma in quanto il destino di un bimbo è ineluttabilmente quello di diventare adulto. Così l'uomo deve chiedersi quale sia il suo destino evolutivo, e realizzarlo.
Tornando all'incipit: se si riuscisse a non odiare il proprio destino evolutivo, ma ad amarlo anche quando non si può fare altro che amarlo, questo destino non sarebbe mai doloroso come spesso diventa per l'uomo che non vuole essere tratto fuori da se stesso.

L'Attrattore Strano è bello

giovedì 3 maggio 2018

De-regulation

Rompere le regole, sebbene sia la sola cosa abbastanza adrenalinica da risultare divertente per molti, non foss'altro che per il rischio di punizioni che si corre a farlo, è il modo più certo di affermarne l'esistenza, di affermare di conoscerle, e di affermare che vi si è sottoposti e sottomessi.
Paradossalmente, solo gli schiavi possono provare la gioia di spezzare le catene, almeno fino a quando non li ripigliano.
Regole poi di chi? Chi le impone? Colui che le rompe spesso non se lo chiede: sa che ci sono ed è consuetudine (apparente) seguirle.
Ora sappiamo bene che gli unici autorizzati (più o meno esplicitamente) a non sottomettersi alle regole, sono quelli che le fanno. Rompi le regole e accetterai anche questa come regola. Perché ci sono persino organizzazioni la cui regola è che le regole debbano essere rotte, e questa è una regola che guai a romperla.
Altra cosa è ignorarla, la regola. Ma questo impone un atto di responsabilità che consiste nel darsi le proprie regole autonomamente, rispettarle in modo ferreo e coerente senza compromessi; e certo questo non è divertente.
Chi si dà le proprie regole, poi, scoprirà che alcune corrispondono a quelle imposte dall'esterno, ma che molte altre sono persino in contrasto con quelle; e quindi deve essere così determinato a non deflettere dalla propria libertà, da accettare le sanzioni per queste ultime.
No, non è divertente.


mercoledì 2 maggio 2018

Compromettersi

Sento dire che il compromesso è il bello della democrazia, o che la democrazia è l'arte del compromesso.
Siccome il compromesso è la mediazione tra due (o più) posizioni opposte, tale per cui ognuno dei mediatori rinuncia alla propria posizione, e quindi lascia tutti scontenti; e dato che ad essere scontenti non sono tanto i mediatori quanto coloro che li hanno delegati a fare qualcosa che - col compromesso - essi non faranno più, ci si rende conto quanto la democrazia, alla lunga, dimostri di finire per essere la dittatura di una minoranza costituita da delegati che tradiscono la delega, ma non scontentano certo se stessi.
Non è ipocrita parlare di democrazia? se la si confonde con il compromesso?

sabato 28 aprile 2018

Ignoranza

La massima offesa che si può arrecare a qualcuno, è ignorarlo, come se non esistesse.
Mentre vi invito a ignorare chi vi ignora con la stessa stolida perseveranza, rilevo che, se l'ignorato è con ciò umiliato, l'umiliante è, con ciò, ignorante.

martedì 24 aprile 2018

Marcia trionfale 2

Un giorno venne un tale, e disse al muto che era non uno a cui mancava qualcosa, ma uno che non aveva bisogno della parola per comunicare.
Gli spiegò che in certi altri mondi, l'uso della parola era stato abbandonato da tanto, e che, provenendo lui da uno di questi mondi, aveva dimenticato come si fa. Il linguaggio era divenuto silente; e non si trattava di telepatia, ma di "comunione". Infatti, tutta la conoscenza era raccolta in un solo posto, e ognuno disponeva dei dispositivi biologici per accedervi in ogni momento. In questo modo, comunicare era accedere alla sola conoscenza e alla sola verità nello stesso momento. Così nessuno poteva più mentire o ingannare: a che serviva? E a che poteva servire il potere se tutti ce l'avevano?
Disse, quel tale al muto: "Ci sono certo molti logopedisti che potrebbero insegnarti a cantare, oltre che a parlare, perché non ti mancano gli organi per farlo, ma si sono solo impigriti dato che non li usi più da millenni, nel tuo mondo. Io non sono uno di loro. D'altra parte, così non potrei che insegnarti ad entrare nel coro, distruggendo la libertà che risiede nel tuo mutismo. Io sono qui per insegnarti ad insegnare a chi parla e canta qui come si comunica, in libertà, nel mondo da cui provieni, Sono qui, dunque, in sostanza, solo per ricordarti da dove vieni e chi sei davvero."
Ora, se fosse stato un cantore a ricevere queste parole, avrebbe fatto tante domande, avrebbe chiesto da quale libro il Tale avesse imparato quello che diceva, avrebbe confrontato questa visione delle cose con quella di altri, in particolare dei logopedisti che della materia sapevano tutto, e alla fine avrebbe detto che lui sapeva già parlare e cantare e quindi sapeva comunicare benissimo: non aveva bisogno di altro: viveva in questo mondo, dove, se fosse diventato muto, sarebbe stato emarginato.
Non così il muto: non sapendo usare quel tipo di linguaggio, fu subito portato ad accedere a quella conoscenza di cui il Tale gli aveva ricordato l'esistenza nel proprio mondo... e aveva riscontrato che il Tale diceva la verità. Cosi, nella conoscenza unica e di tutti, aveva risposto in silenzio: "Bene, insegnami, così insegnerò; perché capisco che se sono qui non può esserci altro motivo."



lunedì 23 aprile 2018

Marcia trionfale

Fu chiesto a un muto di cantare la "Marcia trionfale" dell'Aida, pena severe sanzioni.
Il muto non cantò, e fu severamente punito come promesso.
Si vide così come chi aveva dato l'ordine non intendesse ascoltare della buona musica, ma punire il muto con un pretesto.
Così fa sempre il potere. E così esso dimostra però di non avere alcun potere sui "muti", che fanno quel che vogliono, all'interno di quel che possono. Ed esercitano con ciò la libertà negata ai cantori, ricavandone in cambio una punizione che ritengono valga tuttavia la pena di sopportare, pur di esercitarne il Potere.

Un coro, fuori del Tempio.

domenica 22 aprile 2018

I benefici della vita monastica

Un tale fu presentato a un maestro, sperando che questi lo accogliesse. Fu accolto, e siccome a tutti venivano decantati i poteri che dal quel maestro emanavano, una persona vicina al maestro gli chiese: "Sarà ricco costui?". "Ricco no, - fu risposto - ma certo benestante."
Quel tale era convinto, e non riusciva proprio a credere altrimenti, che ogni male derivasse dall'aver messo il denaro al posto di Dio, e dall'aver gli uomini create leggi al solo scopo non di fare giustizia, ma di garantire l'accumulo e il possesso personale di denaro. Cosicché, avendo rifiutato per mero rispetto verso se stesso, di assoggettarsi a regole siffatte, era stato pian piano allontanato dalla comunità, ed era finito a vivere, in povertà, appena fuori del villaggio. Così passarono gli anni.
Un giorno venne da lui una donna con in mano una piccola scatola. "Te la manda il maestro", gli disse.
Il povero l'aprì e vi vide dentro un biglietto da una lira. Stupito, la prese in mano, e subito, tra le sue stesse mani, i biglietti presero a moltiplicarsi; e non in biglietti da una lira, ma da cento, e mille, e centomila lire. Il tale allargò le mani e lascio cadere a terra tutto quel denaro, che solo allora smise di moltiplicarsi.
La donna che gli aveva recato il dono era fuori di sé dalla gioia e dall'ammirazione per i poteri magici del maestro.
- "Sei ricco!", esclamò, e prese a contare tutti quei biglietti. Era una somma imponente.
- "Sai che il maestro sta per venire al villaggio? perché non vieni con me per incontrarlo e ringraziarlo?"
- "Certo!", rispose il tale; si rese conto però che, nella sua povertà, non disponeva nemmeno di una borsa in cui riporre tutto quel denaro, e così, non sapendo come conservarlo, ebbe l'idea di metterlo nelle scarpe, dato che aveva le suole sfondate e gli sarebbe stato anche utile per il cammino.
Giungendo al villaggio (i sassi facevano meno male con le scarpe imbottite!) incontrò sulla via il maestro che sopraggiungeva.
-"Grazie, maestro - disse un po' confuso dal'aver avuto quello che detestava -, mi hai fatto un grande dono; ben oltre ciò di cui avrò bisogno per il resto della mia vita!"
- "Quale dono?"
- "Tanto denaro!"
- "Ah, no! - disse il maestro - hai capito male... non ti ho donato il denaro, ma ti ho donato la facoltà di moltiplicare le cose che prendi tra le tue mani. E siccome hai messo il denaro sotto i tuoi piedi, ora so che hai le qualità per moltiplicare ciò che è veramente il Bene!"