martedì 26 giugno 2018

Vi(t)e

Chiunque costruisca la propria vita con la consapevolezza che essa debba portare da qualche parte, è costretto a considerarla come una specie di strada: ogni giorno è allora un metro da aggiungere.
Mentre è certo che la vita non possa essere che una strada da percorrere, è incerto il modo in cui questo venga compreso e - se sì - il valore che alla costruzione di essa si attribuisce: la strada è uno strumento per andare da qualche parte? o è uno strumento perché altri possano raggiungerci?
Pare una questione di poco conto, e invece è una questione cruciale perché, nel primo caso, ogni giorno ci rende diversi, in quanto ci obbliga a spostarci dalla posizione precedente per raggiungerne una un metro più avanti: nel secondo, ci lascia sulle nostre posizioni e ci mette in uno stato di attesa degli eventi e dei visitatori che vorranno avvicinarsi.
Vivere in un modo o nell'altro fa una grande differenza. Anche se si tratta esclusivamente di una posizione della coscienza, o della psiche in genere, dal momento che per avanzare al fine di costruire un metro di strada in più si è obbligati a muoversi dalla posizione precedente, anche se per tornarvi subito dopo... e anche se ogni strada che ci porti da qualche parte consente anche sempre, a chi voglia raggiungerci, di farlo; tanto che - se non volessimo andare da nessuna parte -, nessuno ci potrebbe mai raggiungere...
E' sempre sorprendente, per chi scrive, scoprire come ogni realtà che meriti di essere definita tale (e che non sia dunque una fantasia del pensiero) non sia altro che quello che la coscienza ha saputo costruire come reale. Questo inchioda chiunque alla responsabilità della propria felicità e degli eventi che lungo la strada si verificano, e che ognuno di fatto evoca, o meglio crea. Inchioda ognuno alla propria croce, alla propria morte e alla propria resurrezione.

sabato 5 maggio 2018

Ambiguità

Il direttore del carcere irruppe in infermeria e si rivolse ai due ricoverati:
- "Oggi verranno dei deputati per un ispezione. Se non vi direte soddisfatti, io vi strappo via dall'infermeria e vi sbatto in cella di rigore. Anche a te - disse a uno di loro - che ti mancano pochi giorni di vita!"
Uscito il direttore, dopo poco entrò il cappellano::
-"Oggi verranno dei deputati per una ispezione. Rispondete sinceramente alle loro domande, non mentite per nessuna ragione, perché avete già tanti peccati sulla coscienza e uno in più sarebbe di troppo! Soprattutto tu, che stai per morire, non vorrai presentarti davanti al Signore con questo peccato mortale sull'anima!"
Uscito il prete, arrivarono i deputati.
- "Come va?", chiesero.
- "Anche volendo, per me, non potrebbe andare meglio", disse il moribondo.
- "Ed io non mi posso lamentare", aggiunse l'altro.

venerdì 4 maggio 2018

Strani Attrattori

Se una persona si sente irresistibilmente attratta da un'altra, a causa della predisposizione dei suoi apparati sensoriali, chiama questo "amore"; tuttavia, poiché l'attrazione può risultare così cogente da togliere persino la libertà di pensare ad altro, si sentirà come una belva catturata, e prenderà ad odiare il suo attrattore per questo.
Nella teoria del caos, esiste una cosa che si chiama "attrattore strano", che è (cito la Treccani) un "insieme di punti verso il quale evolve un sistema dinamico per tempi lunghi.Con sistema dinamico si intende in generale un sistema che evolve nel tempo e per il quale esiste una relazione tra gli stati nel tempo. L’evoluzione temporale di un sistema dinamico può essere rappresentata come una traiettoria nello spazio delle fasi, quest’ultimo definito come lo spazio i cui punti rappresentano tutti e soli gli stati del sistema".
Ebbene, l'uomo è (in fisica) un sistema dinamico, esattamente come è descritto qui; i suoi stati nel tempo/spazio sono le sue fasi di crescita evolutiva (incessanti), e l'attrattore strano dunque non è altro che la realizzazione del suo "destino", non in quanto fato, ma in quanto il destino di un bimbo è ineluttabilmente quello di diventare adulto. Così l'uomo deve chiedersi quale sia il suo destino evolutivo, e realizzarlo.
Tornando all'incipit: se si riuscisse a non odiare il proprio destino evolutivo, ma ad amarlo anche quando non si può fare altro che amarlo, questo destino non sarebbe mai doloroso come spesso diventa per l'uomo che non vuole essere tratto fuori da se stesso.

L'Attrattore Strano è bello

giovedì 3 maggio 2018

De-regulation

Rompere le regole, sebbene sia la sola cosa abbastanza adrenalinica da risultare divertente per molti, non foss'altro che per il rischio di punizioni che si corre a farlo, è il modo più certo di affermarne l'esistenza, di affermare di conoscerle, e di affermare che vi si è sottoposti e sottomessi.
Paradossalmente, solo gli schiavi possono provare la gioia di spezzare le catene, almeno fino a quando non li ripigliano.
Regole poi di chi? Chi le impone? Colui che le rompe spesso non se lo chiede: sa che ci sono ed è consuetudine (apparente) seguirle.
Ora sappiamo bene che gli unici autorizzati (più o meno esplicitamente) a non sottomettersi alle regole, sono quelli che le fanno. Rompi le regole e accetterai anche questa come regola. Perché ci sono persino organizzazioni la cui regola è che le regole debbano essere rotte, e questa è una regola che guai a romperla.
Altra cosa è ignorarla, la regola. Ma questo impone un atto di responsabilità che consiste nel darsi le proprie regole autonomamente, rispettarle in modo ferreo e coerente senza compromessi; e certo questo non è divertente.
Chi si dà le proprie regole, poi, scoprirà che alcune corrispondono a quelle imposte dall'esterno, ma che molte altre sono persino in contrasto con quelle; e quindi deve essere così determinato a non deflettere dalla propria libertà, da accettare le sanzioni per queste ultime.
No, non è divertente.


mercoledì 2 maggio 2018

Compromettersi

Sento dire che il compromesso è il bello della democrazia, o che la democrazia è l'arte del compromesso.
Siccome il compromesso è la mediazione tra due (o più) posizioni opposte, tale per cui ognuno dei mediatori rinuncia alla propria posizione, e quindi lascia tutti scontenti; e dato che ad essere scontenti non sono tanto i mediatori quanto coloro che li hanno delegati a fare qualcosa che - col compromesso - essi non faranno più, ci si rende conto quanto la democrazia, alla lunga, dimostri di finire per essere la dittatura di una minoranza costituita da delegati che tradiscono la delega, ma non scontentano certo se stessi.
Non è ipocrita parlare di democrazia? se la si confonde con il compromesso?

sabato 28 aprile 2018

Ignoranza

La massima offesa che si può arrecare a qualcuno, è ignorarlo, come se non esistesse.
Mentre vi invito a ignorare chi vi ignora con la stessa stolida perseveranza, rilevo che, se l'ignorato è con ciò umiliato, l'umiliante è, con ciò, ignorante.

martedì 24 aprile 2018

Marcia trionfale 2

Un giorno venne un tale, e disse al muto che era non uno a cui mancava qualcosa, ma uno che non aveva bisogno della parola per comunicare.
Gli spiegò che in certi altri mondi, l'uso della parola era stato abbandonato da tanto, e che, provenendo lui da uno di questi mondi, aveva dimenticato come si fa. Il linguaggio era divenuto silente; e non si trattava di telepatia, ma di "comunione". Infatti, tutta la conoscenza era raccolta in un solo posto, e ognuno disponeva dei dispositivi biologici per accedervi in ogni momento. In questo modo, comunicare era accedere alla sola conoscenza e alla sola verità nello stesso momento. Così nessuno poteva più mentire o ingannare: a che serviva? E a che poteva servire il potere se tutti ce l'avevano?
Disse, quel tale al muto: "Ci sono certo molti logopedisti che potrebbero insegnarti a cantare, oltre che a parlare, perché non ti mancano gli organi per farlo, ma si sono solo impigriti dato che non li usi più da millenni, nel tuo mondo. Io non sono uno di loro. D'altra parte, così non potrei che insegnarti ad entrare nel coro, distruggendo la libertà che risiede nel tuo mutismo. Io sono qui per insegnarti ad insegnare a chi parla e canta qui come si comunica, in libertà, nel mondo da cui provieni, Sono qui, dunque, in sostanza, solo per ricordarti da dove vieni e chi sei davvero."
Ora, se fosse stato un cantore a ricevere queste parole, avrebbe fatto tante domande, avrebbe chiesto da quale libro il Tale avesse imparato quello che diceva, avrebbe confrontato questa visione delle cose con quella di altri, in particolare dei logopedisti che della materia sapevano tutto, e alla fine avrebbe detto che lui sapeva già parlare e cantare e quindi sapeva comunicare benissimo: non aveva bisogno di altro: viveva in questo mondo, dove, se fosse diventato muto, sarebbe stato emarginato.
Non così il muto: non sapendo usare quel tipo di linguaggio, fu subito portato ad accedere a quella conoscenza di cui il Tale gli aveva ricordato l'esistenza nel proprio mondo... e aveva riscontrato che il Tale diceva la verità. Cosi, nella conoscenza unica e di tutti, aveva risposto in silenzio: "Bene, insegnami, così insegnerò; perché capisco che se sono qui non può esserci altro motivo."