domenica 2 dicembre 2018

Mentori

Il tema di un percorso psicoterapeutico è per alcuni "la guarigione", per altri "l'evoluzione". Le due predisposizioni conducono a distinti approcci, anche tecnici. Ma soprattutto a diverse valutazioni dello stato di disagio che il paziente - certamente - lamenta.
La guarigione, che è normalmente considerata come il ripristino della condizione precedente all'emergere del disagio, richiede una analisi attenta delle ragioni che l'hanno generato, e allora si parla di traumi (più o meno infantili) e ci si riferisce quindi alle psico-dinamiche particolarmente nei periodi dell'età evolutiva: si cercano cause per trovare la cura, che in genere, secondo l'idea classica di psicoterapia, consiste nell'abreazione, cioè nel riemergere liberatorio dei contenuti affettivi ed emozionali del trauma, rimossi nell'inconscio. Nonostante il passare degli anni (120 circa dalla formulazione di questa idea), e l'evolversi del pensiero relativo, sostanzialmente il fatto che ognuno serbi nelle profondità del sé oscure cicatrici il cui dolore è ancora attivo, permane.
L'altra posizione, quella "evolutiva" è invece più attenta allo status quo, e considera il "passato" in genere come irrilevante in funzione del superamento del disagio. E' un modo più primitivo (questa psicoterapia è millenaria) di considerare il problema, più vicino forse a certi credi animistici per i quali il malato era posseduto da spiriti maligni... nel senso (e solo in quel senso) che il disagio /spirito maligno è attivo nel qui e ora e nel qui e ora va scovato e affrontato. Per chi adotta questa posizione conoscitiva, il disagio è una opportunità - per quanto dolorosa - in quanto sintomo di una crisi o conflitto che deve essere risolto, e lo spirito non è dunque affatto maligno, ma al contrario un benefico coercitore a non permanere in una situazione mortifera.
Purtroppo - come chi scrive ha avuto modo di rimarcare più volte - lo psicoterapeuta ha il dovere di impegnarsi per corrispondere alle richieste del paziente, e se queste richieste sono di guarigione (nel senso poco fa attribuito al termine), egli deve rinunciare al progetto evolutivo, rispettosamente.
Ora, sono assai pochi coloro che essendo stati bene, e stando male nell'attuale, sappiano aspirare a un bene ulteriore che non conoscono rispetto a un bene noto, sebbene da ritrovare mediante una sorta di impossibile inversione della freccia del tempo.

Chi si volesse dunque proporre come adiuvatore nei processi evolutivi, troverebbe pochi "clienti" e proverebbe certo quel senso di solitudine che lo stato di quasi isolamento in cui si trova non può che generare; d'altronde questa funzione di psicopompo (1) che egli si impone contiene in sé quell'umiltà profonda che contraddistingue quelli che i problemi non li risolvono, ma li pongono... e i problemi - come diceva un illustre psichiatra - sono tali per definizione solo quando hanno una soluzione: chi si trova in una situazione dolorosa di conflitto e in crisi esistenziale, si sente in un vicolo cieco, non ha soluzioni... quindi proporre il problema, è proporre una via d'uscita, la soluzione, che c'è! anche se dovrà essere il paziente a trovarla.
Eppure lo psicopompo non è un Maestro, ma un uomo esperto e dotato di conoscenze sufficienti a guidare altri uomini meno esperti; al più è uno che consegna tali uomini (se ha una strepitoso successo) al Maestro. Ripetiamo: il Maestro non è un uomo, e, al più, un brav'uomo esperto, saggio, sincero e disinteressato, può aspirare all'appellativo di Mentore o - si direbbe oggi - di "counselor esistenziale".
Aggiungeremo - in camera caritatis - che il Maestro di cui si parla non ha alcuna delle qualità umane, umanistiche ed umanitarie che sono richieste a un Mentore, soprattutto il dubbio... sia detto con un sorriso. 
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(1) Termine che è usato qui in senso strettamente etimologico di "conduttore d'anime".

sabato 1 dicembre 2018

Inviluppi e sviluppi

La discussione sui temi dello Spirito è sempre dolorosa, perché discutere significa che chi lo fa ha opinioni diverse.
Poiché il Vero non è un'opinione (come più volte ha affermato chi scrive), ma appare nella sua chiarezza a chi Egli vuole e al di là di ogni possibile interpretazione, quando ci si trova di fronte a opinioni diverse, certamente non ci si trova davanti alla Verità.
Inoltre, le opinioni diverse indicano scissione dell'Unità (che è un altro nome della Verità) e questo procura dolore (persino fisico!) in chi cerca l'Unità: poiché la si trova solo in un certo stato di coscienza, e la discussione ne richiede un altro, essa è di per sé un allontanamento dalla Verità/Unità... e quanto più si discute, tanto più ce se ne allontana.
Questo è purtroppo vero anche in ambiti diversi da quello spirituale, ma in quest'ultimo l'idiosincrasia emerge con forza maggiore, perché ne costituisce una negazione in termini: dunque si discute attorno a una Unità che la discussione distrugge. Ciò si manifesta violentemente soprattutto quando la discussione è tra sé e sé, tendenza questa forte nei cercatori di verità, e certamente sostenuta in buonissima fede.
In queste occasioni viene tradizionalmente suggerito ai neofiti di "pensarsi Uno" e viene loro anche indicato qualche metodo - di solito respiratorio - che li aiuti a trovare quello stato. Ma è difficile, perché l'uomo è duale... etc.
Non intende quindi chi scrive accettare di discutere producendo con ciò l'opposto di quel che intende produrre, ma si limita - quando può - a suggerire temi di riflessione non conflittuali, ma armonici con la riflessione precedente di cui possano costituire uno sviluppo.

Un inviluppo

venerdì 30 novembre 2018

Distinto animale

Il pastore, nei tempi dei tempi, estraeva dal gregge un agnello, il più bello, il più candido ed innocente; lo mostrava al popolo portandolo all'altare e consegnandolo colà a un prete, che lo sgozzava, sacrificandolo.
Questo estrarre dal gregge perché "il migliore", era l'atto che rendeva l'agnello "distinto" e la sua uccisione coronava questa distinzione rendendolo sacro (sacrifico = faccio sacro).
Dunque "distinto" e "sacro" sono sinonimi, nel contesto. E poiché la vittima sacrificale era sempre un animale maschio, era l'aggettivo "distinto", che nei bene educati precedeva il "Signore" con cui si iniziava ogni lettera di un certo riguardo. Alle donne s'imponeva invece l'aggettivo "gentile" (che ne sottolineava la generosità) davanti all'appellativo rispettosissimo di "Signora" (Madonna = mea Domina = mia Signora). Così imponeva il nobile italiano la cui derivazione classica risultava con ciò rifulgente e densa di ataviche virtù conoscitive.
Oggi gli italiani che rappresentano quegli altri italiani detti "popolo", si rivolgono alle più alte cariche dell'Unione Europea, in lettere per di più ufficiali, con l'appellativo "Gentile Presidente".
Forse essi si adeguano alla femminizzazione della biosfera che alcuni scienziati denunciano? O forse difendendo il patrio suolo rinunciano a difendere le patrie sapienza ed eleganza per trovare margini di trattativa?

"Distinto Signore"


Viaggi in treno

In fondo ogni storia (naturale, e umana) non è che la narrazione dei momentanei successi ottenuti da una delle due forze che si combattono nell'eterno: quella di conservazione e quella di evoluzione.
Due forze nient'affatto in contrasto, ma piuttosto complementari (1), dal momento che l'evoluzione serve alla conservazione della specie (giacché ne permette l'adattamento sempre più efficace alle condizioni di vita), così come la conservazione consente il mantenimento della materia da far evolvere.
Come tutti i valori ontologici, essi costituiscono leggi che agiscono sia al livello macro, che al livello micro; sono insieme cosmici e individuali (umanamente parlando). Dunque anche nelle storie personali umane avverrà che, ad esempio, uno persegua evolutivamente un sogno (di un amore, magari, o di una ricchezza) e - raggiuntolo - lo voglia conservare con tutte le forze.
Ora occorre analizzare le conseguenze del prevalere di ognuna delle due forze: la forza conservativa è dominata dal femminile, e quella evolutiva dal maschile; ma accade che le donne si esprimano evolutivamente (sono loro che producono nuove vite...) e gli uomini lo facciano conservando (sono loro che difendono i territori...). Il prevalere della forza conservativa, se non fecondata da quella evolutiva (come il seme maschile feconda un utero) alla lunga consegna il conservato a morte sicura, mentre quello della forza evolutiva tende a distruggere ciò di cui si nutre, dal momento che la "cosa" è la strutturazione di molecole in un certa forma data, e se si vuole cambiare quella forma, bisogna distruggere necessariamente la forma precedente.
Analizzando i fenomeni solo nell'attuale (dunque in un momento in cui è una delle due forze a prevalere) sfugge alle umane coscienze che il cambiamento evolutivo della forma è la sola conservazione possibile delle molecole che compongono la "cosa".
E' questo meccanismo che spiega la conservazione dell'energia/materia nell'eterno mutare (Parmenide vs Eraclìto).
Ma poiché chi scrive è convinto che sia il singolo uomo a costruire gli Universi e non viceversa, osserveremo qui che la personalità, o l'identità umana (come ogni altra), non è che una momentanea permanenza, atta a mutazioni il cui scopo è conservare... cosa? Cosa c'è nell'Uomo che è mentre muta? anche quando questo mutamento diventa estremo, come nella morte organica? in cosa consiste la permanenza eterna, dunque non più momentanea, se non in un cambiamento senza "momentanee" stasi conservative?
Se ancora contrapponiamo Essere e Divenire, dobbiamo concludere che l'Essere è il Divenire, e viceversa. La radicale liberazione consiste dunque nello scioglimento di ogni vincolo conservativo, ché la conservazione vera è nel mutamento soltanto... vivere è morire, morire è vivere.
Il discorso porta lontano (2), e a chi scrive non piace viaggiare: sono i treni a viaggiare, gli uomini ci stanno solo seduti sopra.


(1) Dicesi "di parte più o meno essenziale, ma necessaria sul piano quantitativo, qualitativo, strutturale o del funzionamento". Ma chi scrive dice che complementari sono gli elementi uno dei quali non sarebbe visibile o rilevabile se non ci fosse l'altro (es: notte e giorno).
(2) Il difendersi e il difendere ciò che si possiede, la difesa dei confini, il mostrare i maschili muscoli nel farlo, la "propaganda" etc... denunciano la totale incapacità di intendere l'Uomo come Ente. La socialità è la relazione plurima tra esseri liberi ed uguali: ogni volta che si nega questo fatto "ontologico" si produce il caos che si pretende di ordinare, e non sempre lo si fa involontariamente... etc, etc. etc. Ma nessun Uomo può essere governato da uomini.

giovedì 29 novembre 2018

Consumi

Il verbo "consumare" evoca un atto irreversibile e definitivo: la cosa consumata non esiste più, ne rimangono solo le spoglie, ossia i prodotti di scarto.
Si consumano i matrimoni, i reati, i pasti... e nel far questo, si consuma la vita che permette di consumarli.
Dopo molti, ripetuti e definitivi consumi, restano solo mucchi di scarti, e allora ci si pone il problema di riciclarli, e il fine di consumare in qualche modo anch'essi. Di ogni confezione di qualcosa di consumato, resta la scatola; di ogni vita umana resta la salma.
Ma esiste forse la possibilità di consumare le scatole al fine di farne emergere il contenuto, e così esiste forse la possibilità di consumare le salme per farne uscire, alla fine, l'Uomo Vivo che contenevano. Certo, si tratta di rovesciare un po' tutto... e, certo, è una questione di scelte...

mercoledì 28 novembre 2018

Alienazioni

A volte si ha la sensazione che tutto sia stato detto, tutto sia stato fatto, e che dunque non vi sia da far altro che lasciare che il tempo e l'usura delle intemperie consumi ciò che c'è e che non può trasformarsi se non in questo senso... come una roccia millenaria, erosa dal vento, si mescoli in granelli alle sabbie del deserto da cui emerge. Una definitiva vittoria dell'entropia.
Sembra che non vi sia (più) una possibilità evolutiva, e che ogni movimento di ogni cosa presente non sia che uno sfregamento erosivo tra elementi materiali che devono tornare polvere; il movimento di ogni cosa, anche organica... di ogni vivente, dunque e persino di ogni uomo... uomini ormai tra loro in relazioni erosive, ed entropiche.
Se questa sensazione di mobilità apparente, ma di stasi reale, appare al sognatore sveglio come verità, [“al limite fra sogno e pensiero oggettivo, nella confusa regione dove il sogno si nutre di forme e colori reali, e dove, per converso, la realtà ... trae la sua atmosfera onirica”*] non si può che cercare di scrutare oltre la linea d'orizzonte delle dune che la falsa mobilità genera, e vedere se vi sono azzurri celesti o stelle notturne... c'è un oltre, se è così. E vedere così se queste azzurrità sono abitate, non da esseri alieni, ma semplicemente da esseri VIVENTI. Chè il Vivente è alieno al deserto.




*Gaston Bachelard

martedì 13 novembre 2018

Sale d'aspetto

L'aspetto più noioso di una vita noiosa è costituito dalle attese. E una vita noiosa è una lunga attesa.