giovedì 6 aprile 2017

Under costriction

La terribile notizia della ragazza anoressica morta di fame, vegliata per giorni dalla madre attonita, e poi da lei messa in un trolley ed abbandonata, è amaro spunto per alcune riflessioni.
Un madre che non riesce a nutrire è una madre annullata: espletata la sua funzione (automatica) di genitrice, fallisce totalmente quella di nutrice. Perché?
Nell'anoressia, chi ne soffre vive un rapporto ambivalente con la madre: se ne accetta il nutrimento (affettivo più che alimentare, certo), lo percepisce come "velenoso", e quindi lo rifiuta; come rifiuta la propria stessa esistenza non riconoscendosi persino nella propria immagine riflessa: nello specchio vede la madre.
E tuttavia, non avendo altro nutrimento che quello tossico, è fatale che l'esito sia letale, per avvelenamento o per fame. Uccidersi è l'unico modo di uccidere la madre e salvarsi da lei.
Questa madre che non si perdona, compie un gesto riparatore: mette la figlia in posizione fetale e la incorpora in un utero simbolico, poi l'abbandona e fugge, spaventata della sua stessa azione.
Non intendo con questo esaminare il fatto con piglio analitico (o peggio psico-analitico), ma con un approccio simbolico, o per meglio dire, analogico.
Se questa madre fosse la metafora di questo mondo, e se l'umanità ne fosse figlia? Se non potessimo ormai scegliere che tra il veleno e la fame? Se la via di fuga unica che riusciamo ad immaginare fosse una regressione all'utero di questa madre, ma solo post mortem? Se l'umanità stesse facendo del tutto per uccidersi al fine di uccidere la madre avvelenatrice con la quale si è identificata finora, non conoscendo altri metodi?
Propongo una riflessione complessiva sulle possibili vie alternative. Se non se ne trovassero, auspico che la riflessione risulti guaritrice e che torni un sano appetito.

PS: in tutto questo, il padre dov'è?


Uno strumento utile per regredire


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