martedì 11 aprile 2017

Sulla paura di essere "altro", parte II

Mi si obietterà che, se avessi ragione, non ci sarebbe qualche milione di fedeli di tutte le religioni ad affollare i luoghi di culto; né devoti talmente ferventi da dar luogo a guerre di religione.
Se avessi ragione, si dirà, la paura della dimensione metafisica e religiosa avrebbe impedito queste adesioni di massa alla fede.
A guardar bene, però, ci si accorge che questo genere di fede non mette in discussione il proprio simulacro, ma anzi gli conferisce stabilità, e conferma che è esso ad essere IO, con una specie di gioco - stavolta - iperrealista.
Questo genere di fede infatti produce un'attenzione alla vita di ogni giorno, dona un senso "alto" - a volte - alle sue follie, giustifica il dolore e il sacrificio, e assicura che viverla onestamente e con sentimenti bonari e amorevoli condurrà a un benessere "altrove"; ma intanto tutto rimanga com'è, a partire da se stessi e da quello che "si crede" di essere.
L'altra forma, invece, impone di scavare dentro di sé alla ricerca della radice del proprio essere e ciò è faticoso, richiede pazienza, disciplina e costanza; dunque rende l'esistenza precaria nella misura in cui la tranquillità non è altro che un equilibrio stabile. Chi si sottopone liberamente a questa ricerca rinuncia all'equilibrio e alla stabilità, non rimanda ad altra vita ciò che può fare subito, si convince presto che non si tratta di ben operare qui per ottenere ricompense, ma che si ha a disposizione un tempo che l'uomo chiama vita per fare quello che gli altri fedeli attendono come un dono o una remunerazione. Farlo, e da sé!
Sanno che si hanno remunerazioni dalla propria stessa opera mentre la si compie, come frutto secondario del lavoro di scavo all'interno di sé alla ricerca del sé altro, mentre gli altri cercano l'altro da sé, che proprio per questo non coinvolge minimamente il sé in sé.
Certo sono scelte, modalità di aderire a una richiesta fondamentale dell'umano di andare oltre; direzioni opposte di ricerca, la cui scelta è determinata da fattori individuali che affondano le proprie radici addirittura nella linea di generazione, quindi nei luoghi e nelle culture, negli avi e nelle ascendenze, nelle condizioni di esistenza che hanno definito la condizione generale di ogni essere.
O forse no, perché forse, quelli che scavano scelgono di farlo prescindendo da queste condizioni, mentre invece - semplicemente - gli altri non ne prescindono. Sì, forse così è più giusto, dato che ogni essere che si incarni in questo mondo subisce pur sempre una prigionia...


Iperrealismo: quando l'imitazione del vero è tale da essere presa per il vero.


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