giovedì 30 luglio 2015

Quando ci si ammala


Quando una persona si ammala gravemente, e sente che la propria vita è in pericolo, a volte la si vede acquistare una sorta di distacco che le persone care interpretano come un “non aver più voglia di vivere”.

In questi frangenti in verità può affiorare nel malato una specie di supercoscienza, e lo si vede iniziare a curarsi con pazienza, spirito di sacrificio (talvolta le cure hanno effetti collaterali devastanti) ed attenzione, mentre – intanto - quella specie di distacco sembra aumentare.

Non è una contraddizione: è che l’essere umano è convinto che la vita sia sua e che ne possa fare quel che vuole; spesso anzi pensa di poterla consumare a suo piacimento, perché è gratis e non sa poi bene che farsene.

Ma nel momento in cui la vita è davvero in pericolo, si accorge che non è proprio così: è come se un caro amico gli avesse dato in prestito un un’automobile di lusso, il corpo, e lui l’avesse rotta; ora la sua preoccupazione è di poter rendere all’amico la macchina in perfetto stato, e si dedica alla ricerca del miglior meccanico che possa ripararla; ma al contempo si è reso conto pure che la macchina non è sua e che il rimetterla a posto è un dovere verso l’amico, ed è questo che lo motiva. Tanto che, anzi, non appena la macchina sarà riparata, egli non vedrà l’ora di poterla restituire. È per questo che la massima cura del proprio corpo malato e il distacco che altri intendono come disinteresse vanno benissimo d’accordo.

Beninteso: non sarebbe necessario ammalarsi gravemente per ottenere questo risultato di cura appassionata del proprio essere e di contemporaneo distacco affettivo da se stessi e dal mondo che – nella metafora – non è che la rete autostradale sulla quale la macchina di lusso manifesta la sua potenza.

Al contrario, ogni sforzo maieutico dovrebbe essere teso al produrre questo effettivo stato di coscienza elevato, prima che qualcosa di grave costringa a farlo.

Ora una nota: tutta una cultura millenaria ci ha raccontato come corpo e anima siano cose distinte e non è vero, nella misura in cui non ci sarebbe alcuna anima senza un corpo sul quale radicarla; una cultura centenaria che si è opposta a questa visione, poi,  ci ha invece insegnato che l’identità, l’Io sono, è il nostro corpo, e che la psiche è fondata su di esso in quanto meccanismo neurofisiologico epifenomenico. E questo è assolutamente vero. Per cui, riparando il corpo guasto, si salverebbe la propria identità, l’interezza fatta di corpo e psiche.

Ma nell’atto della apparizione fenomenica (non epi-fenomenica*) della super-coscienza (non della sub-coscienza o dell’inconscio) che manifesta in modo tanto chiaro come amore appassionato e cura da un lato, e distacco emotivo e sentimentale dall’altro, siano condizioni reciproche di permanenza, è contenuta la rivelazione di un fatto davvero sovrumano: ogni uomo è una unità inscindibile di corpo, anima, psiche, energia e coscienza; ma tutto questo, in Uno, non è ancora l’Essenza dell’Uomo che va oltre, ben oltre.

Questo oltre è un luogo che chi percorresse la Via potrebbe considerare come il luogo di arrivo del proprio viaggio; e questo oltre è il luogo dell’Assenza, in cui lo sguardo che la contempla non genera che un’attonita coscienza (sovra-coscienza) che Assenza e Presenza sono Uno, come lo sono Distacco ed Amore.

Chi è credente e cerca Dio, non lo troverà mai; chi non è credente e cerca se stesso troverà l’Assenza di Dio, che è la Sua assoluta e totale Presenza e saprà perché il grandi santi sono atei.

 

·         La sovra-coscienza fa discendere la Conoscenza che non c’era; la subcoscienza fa affiorare o emergere la conoscenza che era nascosta in profondità.

mercoledì 3 giugno 2015

Se sei avveduto

"...se sei avveduto focalizzerai la tua attenzione su ciò che è essenziale. In tal modo, plasmerai la tua vita come si plasma un'opera d'arte. Diversamente t'ingannerai per tutta la vita."

domenica 24 maggio 2015

Le meraviglie del cuore

"Le meraviglie del cuore sono al di fuori delle cose percepite dai sensi, perché anche il cuore vero è al di fuori della percezione sensoriale, e le menti sono troppo deboli per afferrare ciò che non è percepibile dai sensi. Il cuore ha due porte, una che si affaccia sul Mondo Celeste e un’altra che si affaccia sul mondo materiale visibile."

"Questa seconda porta è a tutti nota; l'altra, che è una porta interiore – e si chiama anche porta dell’ispirazione, del soffio del cuore e della rivelazione - si apre solo a coloro che..." 

sabato 23 maggio 2015

L'uomo come incontro tra Ordine e Caos

Secondo l'Antico Egitto, l'Uomo è il luogo dell'incontro/scontro dinamico e vitale di due realtà complementari ancestrali: l'Ordine Cosmico (dominio della coerenza) e il Caos (dominio dell'entropia che conduce alla morte). Integrazione e Disgregazione in lotta tra di loro: quello che ne risulta è un equilibrio instabile ma persistente che è l'Uomo.
 
Questa interazione tra le due forze produce cinque corpi, che vanno dal più denso al meno denso.
1)     Il corpo fisico, come descritto dall’anatomia e dalla fisiologia. Ha un cervello ma non una mente.
2)     Il corpo psichico, rappresentazione mentale del corpo fisico, come risulta dalle esperienze somatiche, che chiamiamo sensazioni. La mente è considerata come un epifenomeno del cervello in quanto organo del corpo fisico.
3)     L’Ombra, che comprende l'inconscio o incosciente, ma anche il sogno e soprattutto il superconscio. E' il luogo d’incontro dei due corpi inferiori e dei due successivi, più sottili.
4)     Il corpo magico, o matrice del corpo di luce, capace (se posto nelle condizioni adeguate) di determinare persino modificazioni delle condizioni di natura, inscritte - diremmo noi - nel DNA.
5)     Il corpo spirituale, il più sottile dei corpi, quello che è il prodotto dell'integrazione nella coscienza dei quattro corpi precedenti, e - da quel momento - determina tutti e cinque gli stati. E’ l’unico corpo in grado di stabilire una relazione diretta con la Realtà Cosmica Unitaria (Cosmo, Uno). E' dunque il corpo spirituale il luogo d’incontro dell’Uomo con Dio, quello in cui l'Uomo non è più, e solo Dio è.
 
Questa visione della condizione umana può aiutare chiunque si ponga con sincerità a considerare la propria "reale" natura. Questo era l'insegnamento che veniva impartito nei Templi egizi, e che continua da sempre ad essere impartito in quel tempio eterno che è il Tempio dell'Uomo, ovvero il suo stesso corpo, in tutti i gradi della sua "manifestazione".

mercoledì 20 maggio 2015

I Terapeuti

Ai tempi di Gesù, quando ad Alessandria d’Egitto si andavano fondendo le culture egizia, mediorientale e greco-latina, esisteva una comunità monastica di uomini e donne, detti i ‘Terapeuti’, di cui si sono perse le tracce storiche e rimane solo qualche sparuta e frammentaria testimonianza.
Per Platone, un ‘terapeuta’ è uno che ‘ha cura’ del corpo e dell’anima: un tessitore di abiti, o un cuoco; ma è anche un ‘servitore’ delle cose sacre. Marc’Aurelio ritiene che la ‘therapia’ sia l’arte di conservarsi puro da ogni passione, al fine di “essere attento alla sola divinità che abita in sé e circondarla di un culto sincero”.
In quel tempo, il ‘terapeuta’ è un semplice tessitore, o un cuoco, che ha però una speciale consapevolezza che usa per aver cura degli dèi e delle ‘parole’ che essi dicono alla sua anima. 
Dèi che sono manifestazioni dell’Uno (come era in Egitto), e rappresentazioni di verità assolute (ontologiche) cui il sapiente si riferisce nell’orientarsi lungo il percorso delle ‘concatenazioni’.

Il ‘desiderio’ è uno strumento basilare della funzione terapeutica: su di esso il sapiente vigila, al fine di mantenerlo sempre vivo e di orientarlo costantemente verso la meta che si è prefissa: ‘questa cura etica può fare di lui un essere felice, sano e semplice (non duale, non diviso in se stesso), vale a dire un saggio.’ 
Il ‘terapeuta’ diventa allora un essere ‘che sa pregare’ per la salute dell’altro, ossia sa richiamare su di lui la presenza e l’energia del Vivente, che è il solo a poter guarire ogni malattia e con il quale egli coopera. 
Il ‘terapeuta’ non guarisce, egli ‘ha cura’: è il Vivente che cura e guarisce; il ‘terapeuta’ ha soltanto il compito di mettere il malato nelle migliori condizioni affinché il Vivente agisca e la guarigione avvenga.


martedì 19 maggio 2015

Una grande noia

Fu chiesto a un Maestro che cosa si provasse nel vivere l'esistenza nel Suo elevatissimo stato spirituale. Rispose: "Una grande noia."

Ognuno dovrebbe chiedersi quale sia lo stato spirituale nel quale conduce la propria vita; nelle condizioni medie usuali non ci si accorge di essere in un qualche stato spirituale, non si sa neanche che cosa esso sia. E' una dimensione del vivere, questa, che l'uomo si è dimenticato di possedere.
Sapere che cosa è la vita, non in genere, ma in particolare la propria stessa vita nel momento stesso in cui la si vive, attimo per attimo: questa è la coscienza dello stato spirituale.
Questo stato è variabile, fluttua all'interno di una gamma di possibilità che attengono al proprio livello di coscienza; e questo livello di coscienza, però, può crescere, aprendo l'essere alla condivisione progressiva di mondi sempre più ampi, profondi e sottili. E sperimentare fluttuazioni sempre più ampie perché si allargano i confini entro i quali esse sono possibili.
Conoscere il proprio stato spirituale è dilatare la propria vita, offrendole possibilità che non si credeva di poter avere.
Dilatarla come il pavone fa della sua coda, tanto da renderla comprensiva di ogni cosa, di renderla capace di conoscere quindi ogni cosa, perché la conoscenza è tale solo quando tra il conoscente e il conosciuto non vi è più distanza, ma piuttosto completa identificazione; quando questo avviene, allora non c'è più niente da cercare, niente da conoscere, e la vita è tanto totale da non poter concepire neanche il proprio opposto.
Sì, in queste condizioni, ci si annoia.

domenica 17 maggio 2015

La circolazione energetica

La circolazione energetica.
La possibilità di apertura verso l'alto, o di scambio con l'Alto esiste,
ma non è disponibile nelle normali condizioni di esistenza,
in cui tutti gli sforzi umani si concentrano sulla conservazione di quanto si possiede.
L'uomo è un "sistema aperto in equilibrio dinamico",
capace cioè di scambiare con il mondo esterno sia energia che materia;
ma l'insistenza sulla conservazione di quanto possiede lo rende
psicologicamente e spiritualmente
 un sistema chiuso,
che tenta, contraddicendo la sua natura fisica,
di scambiare con l'esterno il meno possibile, prendendo molto e restituendo il meno possibile:
questa attitudine esalta la condizione "fisica" di sistema dissipativo,
capace cioè di consumare, ma non di produrre nulla di utile in Natura.
L'uomo muore perché, in quanto sistema dissipativo, non impedisce
che l'entropia lo conduca allo stato di "morte termica";
e vive finché si mantiene in equilibrio dinamico,
ovvero conserva la sua capacità di mantenersi aperto
e fluttuante (capace di cambiare vitalmente, dunque di evolvere).
Scegliere la vita senza possedere nulla
o la morte inevitabile possedendo quel che si riesce a possedere,
è una scelta di libertà.