mercoledì 18 luglio 2018

Processo di guarigione

Il processo di guarigione è un processo non somato-psico-energetico, ma spirituale. Appartiene a questa quarta dimensione umana (la prima!) che si manifesta nelle altre tre. Non vi è una guarigione soltanto somatica, o soltanto psichica, o soltanto energetica... E' un processo globale.
Il medico, lo psicologo, persino il guaritore o lo sciamano, non possono che mettere a disposizione del malato una diagnosi (ossia una definizione chiara della sua malattia) e dei rimedi; resta al malato sceglierli eventualmente, prenderli ed usarli al meglio, rendendoli efficaci. Questa non è una attività somatica, né psichica, né energetica: è un'attività che attiene a quello che la Tradizione chiamerebbe "Lo Spirito individuale". Ed è una scelta, che si esprime con una volontà.
Infatti la "decisione" di guarire deriva dal riconoscimento (che solo lo Spirito sa fare) del valore della propria vita (e non della propria esistenza!) in quanto assoluto. Non quindi - per esempio - dal valore che essa può avere per i propri cari (che se così fosse non ci si ammalerebbe), ma dal riconoscimento di una funzione in senso globale, assoluto, unitario e indipendente dalle relazione sociali ed affettive. Se lo Spirito individuale si riconosce parte dello Spirito divino, esso sente la necessità di guarire; altrimenti trova forse solo quella di sopravvivere assumendo la propria malattia come parte integrante della sua vita, e facendo con essa un patto di reciproca assistenza.
Guarire è trovare la propria essenza unitaria e lasciare che essa interagisca utilmente con le altre; stancandosi forse, e logorandosi; consumando soma, psiche ed energia e trasformandoli in Spirito. Guarigione reale è diventare quello che si è, se lo si è.
Cosicché al medico, allo psicologo, allo sciamano resta spesso in bocca l'amaro sapore dell'avere messo a disposizione tutti gli strumenti utili a guarire, e vedere che nessuno li usa.

domenica 15 luglio 2018

Peso

Il peso è la misura della forza che la gravità terrestre esercita sulla massa, ossia sul corpo, inteso come agglomerato di materia tenuto insieme dalla forza atomica. Questo per la fisica.
Il peso è la misura dell'attrazione della Terra Madre, della potenza riproduttiva e nutritiva che il femminile esercita sull'essere. Questo per la meta-fisica.
La prima definizione è dunque metafora, se si vuole, della seconda. Continuando ad usarla, possiamo indurci ad osservare come, per perdere peso, vi siano due strade: quella di perdere massa (ovvero quella di allentare i legami tra gli elementi della materia, disgregandola), oppure quella di lasciarsi attrarre dal polo opposto a quello terreno, ossia dal polo celeste, paterno, il cui potere riproduttivo riguarda non la materia, ma l'essenza.
Questa seconda possibilità produce necessariamente la prima; mentre la prima, da sola. non produce molto... e quel che produce, non sempre è positivo. Certo è che, in assenza di un'attrazione polare celeste, non vi è altra possibilità che la prima.
Sono aspetti da valutare, per chi segue un percorso spirituale, come per chi segue una dieta. Si è pesanti, quando l'attrazione del polo terreno, femminile e materno (la cosa vale per entrambi i sessi, però) è eccessiva...
Solo per suggerire qualche riflessione...

venerdì 13 luglio 2018

Migliorare la qualità dell'esistenza umana

Il viandante che si ponga su quella che viene definita "la Via" (qualunque cosa questo termine voglia, in quel contesto, significare) è vittima- in partenza - di un equivoco, che una eventuale guida non può correggere, né deve. L’equivoco è infatti sostenuto dalla stessa condizione umana in cui il viandante è calato.
L’equivoco è appunto che sia questa condizione umana la cosa da migliorare, in quanto fonte di sofferenza; ed inoltre (cadendo in un ragionamento fallace come soltanto i ragionamenti logici sanno essere), che tale condizione dipenda da fattori esterni che è necessario modificare, o al più dalla reazione errata a tali fattori.
È un equivoco che non può essere corretto perché nasce dallo stato di coscienza che – per natura – l’uomo riceve in dotazione, di serie, per così dire: una coscienza utile ad indagare il rapporto dell’individuo cui appartiene con il mondo esterno, arricchita progressivamente dall'esperienza di esso che l’individuo fa e che costituisce una base di confronto con le successive, in modo che queste ultime possano essere definite positive o negative, secondo la tecnica del confronto cui la dualità dell’uomo “di serie” risponde.  Di questa coscienza soltanto l’uomo dispone, ed essa produce quel che può produrre, di necessità.
Si tratta dunque piuttosto di lasciare che si affacci e si riveli a se stessa una nuova coscienza (una sovra-coscienza), dapprima parallela e poi alternativa alla prima, che si sarà manifestata intanto fallace, sebbene utile al mimetismo mondano.
Il viandante che si aggiri nel bosco di notte, annaspando tra i rami, senza poter riconoscere un sentiero e prendendo intanto qualche frustata in faccia dagli arbusti, si augura che venga presto l’alba; a volte, pur in pieno giorno, il bosco è però così fitto che la luce non riesce a penetrarvi, e la situazione non cambia. È normale che si trovi spaventato, disperato, in preda a quel panico che nasce dal non sapere che fare non vedendo vie d’uscita; e certo non penserà minimamente che il bosco non esista, e sia solo una proiezione della coscienza data di serie, lei sì oscurata – di serie – affinché la verità venga preservata.
Il meraviglioso irrompe quando, chiusi gli occhi da una stanchezza strana, eccessiva, uno sfinimento prodotto più dalla paura forse che dalla frustrazione del procedere in circolo inutilmente, dietro le palpebre appare un bagliore che diventa pian piano immagine, e che si compone come panorama, denso di profondità possibili… una pianura sconfinata, gioiosamente abitata, pullulante di vita e di luce. Un sogno? No, il Vero! Ché il sogno era il bosco, un incubo dal quale il viandante si è risvegliato. È la nuova coscienza che si disvela come l’aprirsi di un fiore bianco dalle profondità del cuore diventato cervello…
Un Lavoro ben fatto produce di queste visioni: visioni del Vero, spesso accompagnate dalle emozioni che anche il sogno, sempre, reca con sé, particolarmente vivaci, a volte violente. Il sogno comune, per l’uomo, è l’annuncio del suo possedere coscienze sopite; ma questa visione non è un sogno, non racconta di niente che sia passato, ma di qualcosa che verrà, e che anzi è; parallelamente a ciò che il visionario crede che sia. Coscienze che non si sapeva di possedere - in questo caso -  perché non si possedevano, sebbene si fosse predisposti a riceverle, ma che sono state date, miracolosamente, meravigliosamente.
Solo allora il viandante esce dall'equivoco necessario e viene travolto dall'irruzione del meraviglioso.
Non cambia la sua esistenza: gli si rivela la sua Essenza che allora diventa co-creatrice della Realtà. 
Delusi però resteranno - purtroppo - quelli che non sono riusciti ad uscire dall'equivoco.

giovedì 12 luglio 2018

Tutto

Ha detto un grande maestro che agli uomini si può togliere tutto, ma non la speranza.
E' passato un tempo che potrebbe essere un'eternità, e gli uomini hanno dovuto rinunciare alla speranza, essendo stato loro rivelato, dalla dura realtà, che essa è stata ridotta ad illusione. Questo è l'insegnamento di fine epoca.
Sebbene sia illusorio, la psiche umana ha necessità di inventare un progresso dei tempi controllabile, che chiama futuro; ed ha quindi bisogno di una categoria sostitutiva, nella nuova era. Più concreta, più affidabile, più adulta, più seria: quella del desiderio.
Il desiderio è ciò che attrae "verso", che obbliga a progredire; il desiderio è il fratello della mancanza, e dell'assenza, ed è il contenuto dell'amore. Il desiderio conduce verso il suo oggetto e, contrariamente alla speranza, "vede" questo oggetto e lo afferma raggiungibile, rivelando a se stesso tutta la potenza dell'amore.
La nuova era afferma:
Toglietemi Tutto, in modo che io possa desiderare Tutto, e che io possa per amore raggiungere Tutto quello che avevo sperato invano che voi voleste darmi, e che ora so che posso raggiungere io solo, da solo, in libertà.

mercoledì 11 luglio 2018

Visioni

Maestro è colui che non vi racconta di mondi che non potete vedere, chiedendovi di credergli, ma colui che vi aiuta ad imparare e ad esercitare la visione di quei mondi perché possiate guardarli insieme con lui, rendendovi maestri a voi stessi.

Questa è la risposta che do ai pochi che - bontà loro - mi chiedono come "scegliere un maestro".
Ometto in genere, per eccesso forse di delicatezza, di precisare che il maestro non lo si sceglie, ma se ne viene scelti, dacché chi sceglie un maestro come atto di volontà propria ne resterà certamente deluso; ometto inoltre di precisare che, sebbene la visione non sia la vista, è pur sempre una funzione che ha bisogno di organi a supporto, e dei quali non tutti, alla nascita, sono dotati; nessun maestro dunque potrà mostrargli ciò che non può vedere perché privo di vista. Chi si trovasse in questa condizione, sarebbe dunque da quel maestro egualmente deluso; come colui il quale, possedendo ogni possibilità di vedere, e vedendo persino, si rifiuti di accettare che quello che vede è reale... cecità, questa, non degli organi, ma della qualità umana nella sua interezza.
Se vi si dice che siamo tutti fratelli, diffidate. Siamo tutti viventi, anche i sassi, e questo è vero. Ma la vita di un sasso e quella di un animale sono cose diverse, hanno modalità e finalità funzionali diverse. I sassi sono fratelli dei sassi, gli animali degli altri animali della propria specie etc. Dunque vi sono quelli che, occupandosi di sassi, dicono agli animali che ne sono fratelli: magari in buona fede, stanno però ingannando sassi ed animali... ma c'è il caso che si tratti di quelli che, non avendo visioni da insegnare, non si curano di distinguere chi ha gli occhi da chi non li ha.
Il Vivente non ha fratelli, perché è Uno... ma questo apre ad altre considerazioni.


domenica 8 luglio 2018

Il frutto della passione

Passione e Piacere sono entità che si rinforzano reciprocamente; ma che - e questo è ciò che più conta - sono complementari, ossia esistono l'una in funzione dell'altro, e viceversa, tanto che la mancanza di uno dei due termini annulla l'altro.
Il dramma di questa fase del processo evolutivo umano (che una fine/transizione ad altro) è che si cerchi il Piacere senza avere alcuna Passione, esattamente come fanno i bambini che per questo motivo furono denominati da Freud "polimorfi perversi". Tali sono gli adulti, in questa fase, perché regrediti; e la società da essi generata è dunque infantile e fine a se stessa, come lo sono i giochi fanciulleschi. Come lo sono i loro bisogni e paure... basta rifletterci.
L'assenza di Passione verso alcunché, rende piatto ogni valore, e ne priva ogni cosa, dato che per questo mondo il "valore" non è più "virtus", ma è una misura data da quanto si è disposti a pagare per possedere qualcosa: senza Passione, non si è disposti a "pagare" (in nessun senso) alcunché.
Nessun Rispetto, dunque, per ciò che non ha valore... per nulla che non sia l'Ego da soddisfare nei suoi appetiti improvvisi e disordinati. Le risposte ai quali sono compulsive, e generate dalla paura di rimanere "senza", il che significherebbe fare i conti con il Vuoto e l'Assenza (1), ossia con quella solitudine che rivela all'uomo di essere potenzialmente Uomo, se solo egli fosse in grado di percepire la differenza fra i due stati... l'uomo ha il terrore di essere strappato alla sua animalità.


(1) Qualcuno ha detto :"Un modo dell’apparizione del Divino è il ritirarsi, fino al nulla." "Ciò che sperimentiamo come un’ossessione del nulla o come acquiescenza nel non essere oltre il quale non abbiamo più alcun potere, era [...] una manifestazione dell’ira divina, l’ira del mistico Amato. Ma era anche questa una Presenza reale [del divino]”.



mercoledì 4 luglio 2018

Scelte e scelti

Da un punto di vista ontologico le sole leggi degne di tal nome, e del rispetto che la loro autorevolezza richiede, sono quelle che non prevedono sanzioni per i trasgressori. Tutte le altre sono norme abusive.
Perché non prevedono punizioni? perché il fatto di non sottomettervisi è punizione in sé: mi riferisco a cose molto di base, come l'obbligo di nutrirsi, o di mantenersi in buona salute; ma anche a cose meno scontate quali il mantenere la parola data, o il rigore, o l'onore, il rispetto... tutte leggi che, come il nutrirsi, ove non vengano obbedite, producono con ciò stesso un danno irreparabile all'essere.
Di danni irreparabili dunque ne sono stati fatti, e se ne fanno ogni giorno, moltissimi.
Si crede che - nascondendole -  la disconoscenza pubblica delle proprie mancanze sottragga alle conseguenze, come accade per le leggi che prevedono sanzioni; ma non è così. Di modo che tutto questo non fa che generare comunità di persone ferite e malate delle malattie e delle ferite che essi stessi hanno inflitto alla loro integrità.
L'aver passato gran parte della mia esistenza a curare, mi consente di osare una domanda: è giusto curare le malattie e le ferite di chi se le auto-infligge?

"Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro." (Luca 4, 25-28)